Dal nostro inviato in Venezuela

Sono tornato da pochi giorni, riassumo la situazione in base a quanto ho ascoltato, senza pretese di certezza. Sia subito chiaro: il governo Maduro è insostenibile e indifendibile – ma non possiamo fermarci a questo, ci vuole qualche riflessione in più.
Nel paese c’è un’iperinflazione incredibile, 4% al giorno, cioè 1.650.000% all’anno, talora i prezzi cambiano tre volte al giorno.


C’è grave carenza di beni essenziali, gli acquisti sono razionati. A Caracas si eroga l’acqua per due giorni a settimana, poi un’ora al giorno. Il governo dà colpa alla siccità, pare che in realtà manchino i pezzi di ricambio per aprire di più le saracinesche dell’acquedotto. La luce è razionata, perché delle 13 turbine della centrale termoelettrica ne funzionano sei. Degli autobus, ormai ne girano pochi, sempre per “falta de repuestos” – ci si sposta più che altro usando le “perreras” (camion ove si sta sul cassone). Peggio la sanità pubblica: mancano i medicinali, non funzionano gli apparecchi di diagnosi, le radiografie, le dialisi. In clinica privata puoi avere tutto, ma un giorno in terapia intensiva costa 1000$, un’operazione 5000$, per chi li ha. La signora residente in Svizzera che ho di fronte all’aeroporto ha portato alla vecchia madre a Mérida una valigia con un anno di medicinali. Poi è andata in Colombia, oltre la vicina frontiera e ha comprato al supermercato tutti gli alimenti a lunga conservazione che ha potuto. Al ritorno, Maduro le aveva chiuso il valico al ponte di Tienditas, ha rischiato di non riuscire a tornare, poi ce l’ha fatta. Le frittelle di mais (arepas) sono il piatto nazionale, come per noi la pasta. La farina per farle costa 300 bolivares al super … però non c’è. Allora ci si rivolge al mercato nero dei “vacacheros”, che te la danno a 4000 Bvs. In questa situazione, tutti si arrangiano: la corruzione è generale ai bassi livelli, poliziotti, impiegati pubblici ….

Ma come è stato possibile tutto questo? Il paese ha le maggiori riserve di greggio al mondo (anche se di bassa qualità) e molte altre materie prime. Negli anni ’70 erano ricchissimi, si scherzava parlando di “Venezuela Saudita” come l’Arabia. Qualcosa si capisce spostandosi dalla città ad un paesino di 3000 anime, molto isolato, ai margini di un meraviglioso Parco Nazionale. Fra un bagno e l’altro, giro per il paese, vedo qualche edificio normale, dignitoso. La scuola è del 2005 (chavismo). L’ambulatorio? l’ha fatto Chavez. La biblioteca l’ha fondata l’ammiraglio Josè Pinto Blanco, governatore chavista della regione. Questi, cioè, hanno fatto moltissime cose necessarie …. senza minimamente curarsi del fatto che il prezzo del petrolio era crollato e i soldi non ci sono più (il paese di fatto non produce nulla, importa tutto): ricetta sicura per la rovina. Aver fatto queste cose non è un merito particolare del chavismo, non lo dico certo per questo. Però, certamente, non averlo fatto negli anni buoni precedenti è colpa grave dei governi democratici (centrosinistra e centrodestra, AD e COPEI) che lo hanno preceduto. Diseguglianze sociali troppo forti, periferie invivibili, troppi senza casa e senza lavoro, regioni periferiche trascurate: è chiaro che poi gli abitanti delle “favelas” si fidano del primo Chávez che passa. Cosa hanno da perdere? Il pluripartitismo? La libertà di una stampa che non leggono? Un presidente legalmente e democraticamente eletto, fuggito poi a Miami inseguito da un processo per corruzione da 250 milioni di $ (Carlos Andres Perez)? Almeno 380 morti in disordini contro l’austerità (“caracazo”, 1989)?  Il chavismo è pessimo, ma le classi alte del Venezuela mi pare che se lo siano andate a cercare. 

Tutti quelli con cui potete parlate, oggi, sono fortemente anti-chavisti, i venezuelani emigrati in Italia più di tutti (più che comprensibile, hanno perso tutto). Eppure, non sono sicuro che il sostegno al governo non ci sia, e infatti, nonostante tutto, il governo non si sfascia, almeno per ora. In realtà, ci sono due aree sociali con cui noi stranieri non parliamo: i poverissimi delle favelas, e le forze armate. Sono precisamente i ceti sempre favoriti e foraggiati dal regime, più o meno, a ragione o a torto. Ma, se il regime non implode, cosa può fare l’opposizione? arrendersi, come fece nel 2002 l’antecessore di Guaidò, Pedro Estanga Carmona – invocare l’invasione americana rendendosi corresponsabile di centinaia di morti – oppure trovare una via d’uscita concordata, alla quale stanno lavorando Uruguay, Messico e fino a ieri, il Vaticano. Quasi impossibile fare previsioni. Personalmente, spero poco nelle terza opzione: i due fronti mi paiono per ora dominati dagli estremisti.