Viva la Piattaforma Rousseau

Superato lo scoglio, calmate le grida, è il momento di qualche riflessione per noi militanti del PD. Noi ci definiamo “partito” cioè “associazione volontaria di un numero più o meno grande di cittadini, con una propria struttura organizzativa, …” (Treccani).

La realizzazione di un programma vicino ai propri valori, attraverso la partecipazione al governo, è l’obiettivo, la ragion d’essere di qualunque partito. Le scelte cruciali su questo punto dovrebbero tener conto sia delle deleghe espresse in passato (poteri della Direzione e del Segretario) sia delle esigenze di partecipazione democratica dei cittadini “volontariamente associati” (che per noi quindi sarebbero gli iscritti, non i primaristi!).

Quale parte dare all’una e all’altra esigenza è scelta libera di ogni partito, noto però che il PD, per ora, trascura completamente la seconda. Siamo sicuri che sia la scelta giusta? In astratto non possiamo certamente criticare chi ne tiene conto in qualche misura. I Cinque Stelle si affidano alla piattaforma e fanno votare solo chi è iscritto da sei mesi, cioè rispondono perfettamente alla caratteristica di un partito tradizionale, qualunque cosa essi dicano di sé stessi.

Concretamente, a questa procedura vengono mosse due critiche: che i risultati possano essere manipolati – che essi possano smentire le scelte degli organi del partito o del gruppo parlamentare, venendo espressi a valle di scelte fatte da questi anche davanti al Presidente della Repubblica. Entrambe hanno fondamento, anche se forse non così solido come ci è piaciuto dire.

La piattaforma è gestita da una società privata (Casaleggio e associati). La debolezza non sta in questo (qualunque strumento informatico complesso deve essere fatto gestire da professionisti) ma nel fatto che la Casaleggio, per ragioni storiche, ha un ruolo nel gioco politico interno al Movimento. Credo che sarebbe un gran vantaggio, per l’M5S, assegnare Rousseau in gestione ad altri o almeno far sorvegliare le operazioni da esperti indipendenti con funzione di “probiviri”. Noi PD però, dobbiamo ricordare che le nostre consultazioni interne (Primarie, ad es.) potrebbero venire criticate esattamente per la stessa ragione.

Più profonda è la seconda critica. Lasciamo da parte il gruppo parlamentare, che c’entra poco: il parlamentare risponde solo alla propria coscienza, farà ciò che vorrà, non c’è vincolo di mandato. Ma anche il partito (qualunque partito!) ha tutto il diritto di dire: tu parlamentare fai quello che vuoi, ma, se farai la scelte B, diversa dalla A che noi ti indichiamo, ti poni fuori dal partito. E’ cosa che è accaduta in Italia e accade nel mondo molto spesso.

Ma chi esprime davvero la volontà del partito? Gli organi centrali democraticamente eletti dai congressi o il corpo degli iscritti partecipanti (piattaforma Rousseau o simili)? Da questo discendono gli altri punti (quando far votare, su qual quesito far votare, cosa dire al Presidente della Repubblica, ecc). Ho già detto che credo che ci debba essere una qualche forma di bilanciamento, che noi non abbiamo. Il bilanciamento ovviamente presuppone per prima cosa la legittimità democratica degli organi centrali (non è il caso di M5S, né di Forza Italia, né forse di nessun partito italiano tranne il nostro). Presuppone anche l’esistenza di procedure precise e conosciute da tutti che regolino preventivamente questo “potere concorrente” degli iscritti. Ecco un tema del quale vorrei che si occupasse la nostra Commissione Martina per la riforma dello Statuto.