Seggiolini di sicurezza sì, ma anche no, comunque prossimamente.

Un obbligo che però si sposta nel tempo, un seggiolino in cerca di autore, un sistema che o non decide (vedi Ilva o Venezia) o decide male.

Dopo pochi giorni dell’entrata in vigore della legge sui seggiolini “antiabbandono”, il nostro Paese sta dando una ennesima prova di come NON si devono fare le cose. Quando si stabilisce che una qualsiasi cosa diventa obbligatoria, occorre essere certi che questa cosa possa verificarsi davvero. Invece i seggiolini non ci sono, se ci sono non si capisce se siano omologati (parolaccia per dire non che funzionano ma che corrispondono alle norme, le quali pare – a leggere i giornali – siano piuttosto oscure e complicate). Più chiaro è invece che se non si hanno i seggiolini si prende una multa ma non si sa ancora a partire da quando, dato che il ministro competente ha detto che ci sarà una proroga. Questi i fatti in estrema sintesi.

Ma se guardiamo le cose più da vicino, forse il problema è diverso. Per fare una legge e per decidere se un certo fenomeno richiede di essere regolato con legge per stabilire obblighi e sanzioni, bisognerebbe seguire un determinato percorso, logico e non amministrativo. Invece, troppo spesso, da noi si segue un percorso emozionale.

Un genitore che “dimentica” il figlio in auto per tutta una giornata è una persona che ha bisogno di cure complicate e lunghe, per superare i motivi (leggo che pare sia lo stress) e per superare la tragedia che ha prodotto. Tragedia, ho detto e ripeto: non c’è altra parola. Ed è così grande che la maggior parte delle lingue non ha nemmeno la parola per descrivere il genitore cui è morto un figlio: mi risulta ci sia solo in ebraico. Se non lo posso nominare vuol dire che non riesco nemmeno a concepirlo.
Tuttavia è successo, e bisogna “fare qualcosa”: lo dico così ma tra televisioni, web e giornali questi fatti hanno avuto spazi giganteschi, in preda prima e suscitando poi ondate di emozione. Ma di quanti casi stiamo parlando? Sui giornali si è letto di 9 casi in 10 anni, di 18 casi in 9 anni, perfino di 9 casi in 18 anni. In ogni caso, rarissimi: il balletto dei numeri la dice lunga.

Anche un solo caso merita attenzione, dolore e pietà, e questo dovrebbe rispondere alla emozione che molto comprensibilmente colpisce tutti.

 Un Paese civile è quello in cui la genitorialità è consapevole e responsabile e questa genitorialità è fatta anche della acquisizione dello specifico senso di responsabilità di ciò che si fa  e di ciò che va evitato nell’interesse del bambino. Corsi? Preparazione? Assistenza psicologica prima della nascita? Le possibilità sono molte: si chiamano servizi sociali per i quali si pagano le tasse (più servizi per tutti, mi vien da dire). Di queste possibilità fa parte anche la tecnologia: se c’è un segnale di allarme che si può inserire, ben venga.
Sembra invece lecito dubitare che la soluzione migliore sia rendere obbligatorio un seggiolino per tutti, cioè per alcuni milioni di genitori che – dicono i numeri – di solito si rendono conto di ciò che fanno. Obbligatorio significa sostenere un costo cui non ci si può sottrarre, significa un controllo che non si capisce bene chi riesca davvero ad esercitare (non si riesce a sanzionare quasi nulla nel traffico cittadino, per comportamenti estremamente più diffusi e con conseguenze anche molto più pesanti).
Temo che la strada intrapresa sia sbagliata, perché fa credere di rispondere ad un disagio umano (per di più estremamente raro) ma con una soluzione generalizzata e dunque estrema ed estremista.
Non c’è un  apparato legislativo intenso e durissimo contro la guida in stato di alterazione da alcool o stupefacenti? Eppure una notevole quantità di persone guida dopo aver bevuto, dopo aver sniffato ed anche entrambe le cose: e dopo i frequenti incidenti mortali, gli si dà la multa? Certo, si risarciscono le vittime, ma io penso con raccapriccio al fatto che si dia la multa o ci sia un risarcimento (a chi, di grazia?) dopo una tragedia come la morte di un figlio. Ad un disastro psicologico e umano, perché tale sarebbe, non si risponde con una logica patrimonialistica.
Questa vicenda ci parla di molte cose. Ci parla di fenomeni di disagio, della necessità del sistema dell’informazione di esprimersi con la misura della ragionevolezza, della necessità di legiferare a ragion veduta e non a ragion commossa, di farlo bene e non approssimativamente. Il primo caso è rarissimo, come abbiamo visto. Gli altri, purtroppo per noi, sono frequenti e sono tra le cause non ultime del profondo malessere italiano.