30 anni dopo la Bolognina (seconda parte)

30 anni sono moltissimi. Il problema vero è la qualità di questi 30 anni, la grande quantità di fatti che si sono verificati e i cambiamenti che hanno prodotto. (Prima parte pubblicata il 23 novembre)
  1. Ma ciò che a mio avviso conta di più – ed è qui la seconda strada – è che nessuno aveva percezione di quanto stava già incubando e nascendo: lo dico in sintesi estrema, era un mondo in grandissima parte nuovo, per qualità e non solo per quantità.
  2. Il movimento socialista ha compiuto quasi tutta la sua storia stando sulla cresta del cambiamento epocale, essendone anzi uno dei motori: fu così a metà dell’800, poi agli inizi del 900, durante e dopo la Prima guerra mondiale, nella lotta al fascismo ed al nazismo e poi nel mettere la pesante impronta nelle società del welfare e nelle lotte di liberazione nazionale dei popoli del Terzo mondo. Non è questa la sede di analisi particolareggiate, anche se la questione del rapporto tra azione ed influenza delle idee e delle forze del socialismo e le politiche degli stati socialisti ha moltissimo a che fare con il nostro tema.
  3. Sul finire degli anni 80 non è più così:  tutti pensavamo si trattasse di un passaggio di fase, mentre in realtà eravamo sulla soglia di una trasformazione molto più intensa, di rado e natura superiore. Non cambiavano le politiche, cambiava il mondo. Non dico e non penso che Occhetto e i suoi sostenitori lo avessero compreso e noi, gli oppositori, fossimo poco accorti. Dico che a partire da quegli anni si è prodotto un cambiamento di epoca e non di fase, che avrebbe richiesto il massimo delle nostre capacità e intelligenze per provare ad essere alla altezza dei cambiamenti del mondo. Prova di questa riflessione è che il vero disastro – culturale e politico – non è stato quello del 1989/1991 (en passant: sbagliammo a pretendere che si facessero due congressi) ma quello di qualche anno successivo, quando nel 1999 si celebrarono i fasti della Terza Via mondiale: stiamo pagando ancora adesso l’adesione, provinciale, miope, condizionata dall’ansia della legittimazione, a teorie e pratiche celebrative del turbocapitalismo finanziario e predatorio. Insomma: la svolta ha indebolito le capacità di riflessione, di analisi e poi di iniziativa politica, perché ha lasciato un grande partito privo degli strumenti culturali e teorici senza i quali non si dà politica. Lo sblocco del sistema ha prodotto…nessun sistema; l’obiettivo del governo si è realizzato al ribasso e senza spinta propulsiva; il rinnovamento delle forme della politica ha preso il posto del rinnovamento morale e civile degli italiani, contribuendo ai disastrosi effetti della crisi dello spirito pubblico e della solidarietà civile. Non si pensa nemmeno lontanamente che le scelte dei partiti siano il fattore determinante: pesano – avrebbe detto il vecchio Marx – le condizioni sociali e i rapporti di (produzione e di) forza. Ma un buon partito socialista avrebbe dovuto/potuto capire quel che stava succedendo, soprattutto riconoscerlo a processi in corso: non bastano gli occhiali, ci vuole un cervello che elabori quanto gli occhiali fanno vedere. E’ la vecchia storia della differenza tra l’ape e l’architetto: nella nostra storia, in mancanza di architetto, alla fine l’ape non è stata più in grado di costruire la casa.
  4. Come aveva detto un grande, la contesa tra le due parti è terminata con la comune disfatta delle parti stesse: in realtà con la disfatta – almeno per ora ma proprio adesso servirebbe! – della prospettiva di una forza socialista (di impianto, di storia, di cultura, di idea di futuro) in Italia (sarebbe interessante e utile una riflessione parallela con la vicenda delle forze socialiste e comuniste in Europa nello stesso torno di tempo). La vicenda iniziata con la Bolognina ha compromesso le possibilità di provare a determinare uno sviluppo nuovo, come nei momenti alti della storia del movimento operaio e dei suoi partiti. Non mi piace nemmeno molto parlare di “sinistra”, perché descrive ben poco al di fuori della sola contrapposizione con la “destra”: già questo dovrebbe insospettire, perché una definizione che funziona solo in coppia con il suo opposto non è affascinante come dovrebbe essere una identità precisa, netta, consapevole.