La riforma della prescrizione: il punto di vista di un avvocato penalista

L’intento della riforma è determinato dalla necessità di tutela delle vittime dall’eventualità che i loro diritti vengano esautorati dalla prescrizione dei reati, lasciando impuniti i presunti colpevoli.
Ma le cose stanno davvero così?
(Contributo esterno dI Ilaria Urzini, Avvocato penalista foro di Milano)

La L. 9 gennaio 2019 n.3, entrata in vigore il 1 gennaio 2020, blocca il decorso dei termini di prescrizione dopo la sentenza di primo grado (di condanna o di assoluzione). Resta ferma, al contempo, la pregressa disciplina della prescrizione fino alla sentenza di primo grado.

L’intento della riforma è determinato dalla necessità di tutela delle vittime dall’eventualità che i loro diritti vengano esautorati dalla prescrizione dei reati, lasciando impuniti i presunti colpevoli. Ma le cose stanno davvero così?
In queste settimane di infuocate polemiche politici, avvocati e magistrati si sono affrontati con reciproche accuse su un tema tanto complesso quanto altamente specialistico, snocciolando dati e considerazioni in realtà prive di fondamento.

Guardiamo i dati.
In totale in Italia nel 2017 sono stati definiti 994.484 processi. Le prescrizioni, che sono state 125.659, hanno inciso per il 12,6%. Di queste 66.904 nella fase delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare (il 53%), 27.436 davanti al Tribunale ordinario (22%), 2.494 davanti al Giudice di Pace (2%),  28,185 davanti alla Corte di Appello (23%). (Dati della Direzione generale di statistica e analisi organizzativa del Ministero ella Giustizia, dati anno 2017).
Da questi dati ricaviamo innanzitutto che il 53% delle prescrizioni intervengono in una fase in cui i difensori non hanno alcuna interazione nel procedimento penale, ma soprattutto che solo il 23% delle prescrizioni, cioè quelle che intervengono dopo la sentenza di primo grado, interessa la riforma appena entrata in vigore.
Come è stato spiegato, la riforma Buonafede incide sui termini di prescrizione successivi alla sentenza di primo grado, lasciando invariati i termini anteriori. Pertanto, il 77% dei processi continuerà a prescriversi, mentre il restante 23% proseguirà il suo iter fino alla sua definizione senza limiti di tempo.
Secondo la relazione sull’amministrazione della giustizia dell’anno 2019 del Primo Presidente della Corte di Cassazione Giovanni Mammone, questi 28.000 processi, che prima si prescrivevano, peseranno ogni anno sull’amministrazione della giustizi, determinando un ulteriore slittamento dei tempi complessivi di trattazione, ciò a discapito delle vittime che si volevano tutelare ma anche degli imputati che, innocenti o colpevoli, hanno un diritto, costituzionalmente garantito, a una ragionevole durata dei procedimenti (fonte: Corte di Cassazione, Relazione sull’amministrazione della giustizia 2019, Giovanni Mammone).
Il Lodo Conte bis, poi, ultimo approdo della difficile mediazione tra le forze di maggioranza, distingue i termini di prescrizione tra innocenti e colpevoli.
Se vi è una condanna in primo e in secondo grado, i termini di prescrizione rimangono bloccati dopo la sentenza di primo grado.
Se in primo grado o in secondo grado vi è una sentenza di assoluzione i termini continuano a decorrere: nel primo caso i termini continuano a decorrere fino alla sentenza di secondo grado; nel secondo caso, i termini, prima bloccati dalla sentenza di condanna in primo grado, vengono nuovamente computati dalla sentenza di primo grado.
Tralasciando i possibili profili di incostituzionalità agli organi di competenza, appare evidente come il sistema si mostri farraginoso e ancora più inefficace, dovendo depurare dalla citata percentuale del 23% il numero dei processi che in secondo grado si concludono con un’assoluzione.

Dalle predette considerazioni se ne deduce che non solo la cd. riforma Bonafede non risolve la questione dei processi che si prescrivono, ma determina l’alterazione di un sistema già compromesso per diversi motivi di carattere normativo, strutturale e organizzativo.

Ed è su queste cause che è necessario incidere, se si vuole davvero risolvere non solo il problema della prescrizione dei processi, ma il problema più generale della loro irragionevole durata, principio sancito nella nostra Carta Costituzionale e dalla cd. Legge Pinto, la cui applicazione impone ogni anno allo Stato pesanti e crescenti oneri risarcitori nei confronti dei cittadini per cui sia stato violato il termine di ragionevole durata del processo.