Non si deve aspettare il “picco” o la discesa delle curve drammatiche di questi giorni per avviare le politiche e le scelte della ricostruzione.

A poco più di un mese dall’inizio della grande crisi sanitaria e proprio mentre cresce l’impegno per contrastarla è indispensabile che qualcuno si dedichi davvero a progettare ed avviare le politiche e le scelte della ricostruzione.

Se la Cina riparte e se – da ultimo, leggiamo sul Corriere Economia di oggi – molte grandi imprese multinazionali avviano programmi di presenza all’estero è evidente che non si deve aspettare il “picco” o la discesa delle curve drammatiche di questi giorni.
Ma il rientro alla normalità e – auspicabilmente – l’avvio di fasi nuove non riguarda solo l’economia ma innanzitutto il nostro funzionamento istituzionale. La crisi mette alla prova l’intero sistema e ne mette in luce incongruenze e pesanti ritardi e difetti, dai quali partire per cambiamenti non improvvisati e non dovuti a convenienze di parte (o, peggio, di persone).

  1. Il Parlamento. Non so se parlare di apertura ad oltranza abbia senso. Certamente è indispensabile che il lavoro delle Commissioni e in Aula continui, dall’esame e i provvedimenti in corso al confronto sugli interventi in tutti i campi. Non si potrà evitare che ci siano anche parate e comizi, interventi “del più uno” e tanti simili (e deprimenti) atteggiamenti ma è un prezzo ai tempi e ai gusti degli elettori, chiamiamolo un sopportabile costo democratico. Si può limitare, lavorando su tempi, calendari e agende di lavoro molto circostanziati e concentrati, ciascuna commissione secondo la competenza, con un impegno particolare delle strutture tecniche e di supporto (conoscitivo, propositivo, di approfondimento ecc.). Esempio: se le commissioni Difesa facessero il loro lavoro seriamente, una intervista come quella di Stoltenberg di oggi avrebbe una sede in cui iniziare a definire un nuovo orizzonte per la Difesa in Europa. Se riprendesse un lavoro costante, si potrebbero avere altri effetti in derivata: maggiore presenza dei parlamentari (nei loro collegi operino sindaci e medici, per favore), una effettiva funzione di indirizzo, un corretto rapporto con ministri e Presidente del Consiglio. Meno giaculatorie su “tutti uniti” a favore di “tutti     impegnati” e “tutti a confrontarsi nel merito”. E il più grande effetto sarebbe di non    avere più provvedimenti che nascono dagli allarmi – anche quando sono giustificati    – e si sviluppano nelle contrattazioni notturne ma vengono migliorati proprio dal       confronto. Si lasci poi alla tecnica informatica la soluzione di come partecipare alle sedute generali ed al voto senza essere nella stessa aula (sempre che non se ne possa realizzare una provvisoria grande a sufficienza): non mi pare difficile, controllando anche se sono nella sede e non altrove. Come i medici e tutti i lavoratori, i parlamentari sono indispensabili, come quelli vanno protetti dal contagio, ma – a differenza – possono essere controllati.
  2. La comunicazione. Sarebbe bene insegnare al Presidente del Consiglio e alla sua ombra Casalino che le reti unificate sono quelle delle TV e delle radio, lasciando Facebook al tempo libero di chi ce l’ha. Ma, molto più importante, non se ne può più di una informazione quotidiana fatta essenzialmente dal bollettino clinico. Beninteso, occorre sapere come si sviluppa la situazione, ma ci sono ormai buchi enormi proprio su questa. Eppure un efficace contrasto – e il più grande tributo al lavoro straordinario di medici e infermieri – nasce proprio da una conoscenza più accurata della situazione. Analisi della mortalità, analisi dei ritmi e dei meccanismi di diffusone del virus, rapporto tra assistenza in ospedale e assistenza prima e dopo di esso, nelle strutture del territorio, la specifica situazione (stato di fatto, controlli, interventi) delle RSA: si potrebbe andare avanti. C’è una enorme quantità di dati tra esistenti e necessari scavando nei quali i tanti esperti di statistica medica e modelli matematici sono in grado di ricavare indicazioni preziose, soprattutto se lavorano insieme a esperti di condizioni e politiche sociali, psicologi. Insomma, la politica deve mobilitare tutte le competenze utili per conoscere e poi – ciò che spetta solo ad essa – decidere: se non è questo il modello, allora si verifica non il doveroso riconoscimento delle competenze e dei giudizi ma lo spostamento del potere della decisione ai tecnici e questo non va affatto bene. Dati diversi e più accurati servono per una comunicazione più accurata e poi per decisioni più certe e condivise.
  3. Gli interventi nella crisi hanno una parte essenziale nella velocità, nella tempestività e nella appropriatezza. Per le prime due, i decreti legge sono lo strumento previsto e corretto. Per la terza occorre una riflessione più approfondita, una valutazione del già fatto, un confronto tra punti di vista ed anche – legittimamente – interessi diversi- Per tutte le fasi, poi, si richiede una corretta costruzione del contesto, cioè di valutazione degli effetti al contorno, delle relazioni tra fattori e settori diversi e magari a prima vista lontani. E’ rispetto a questo, ad esempio, che la concertazione tra livelli istituzionali e con le forze sociali e politiche diventa una risorsa, anche per ottenere il consenso che non può sostituire la pur necessaria azione per autorità. Lo dico apprezzando il moto spontaneo di tanti cittadini: siamo fermi ai cori delle ore 18 ma con questi non si va da nessuna parte.
  4. Appare urgente una revisione del Titolo V della Costituzione. Purtroppo inserite in un insieme negativo di altre disposizioni, le due riforme proposte da Berlusconi e poi da Renzi avevano l’unico punto indiscutibile il recupero della clausola di supremazia nazionale, per le emergenze e non solo. Sanità regionale eccellente? Anche qui i dati sono lacunosi, ad esempio per il rapporto pubblico-privato ma anche in attesa dei dati sui tagli (la loro qualità e non solo la quantità: ci sono ospedali inefficienti e ospedali clientelari, ad esempio) si può cambiare un sistema per cui non è stato possibile precettare strutture e medici privati fin dall’inizio? Si può mantenere un sistema in cui la sicurezza sul lavoro non può essere oggetto di precettazione o comunque di disposizioni imperative (esempio: i prefetti ordinano misure di protezione anticontagio, invece di accendere una disputa su apertura o chiusura)? E così via. E poi riordinare le competenze non in base alla stratificazione ormai inestricabile ma in base agli schemi desumibili dalle esperienze concrete.
  5. I comuni. Anche qui si deve imparare da questa esperienza. Coordinamento scarso, protagonismo alto, in non pochi casi in modo estemporaneo (vogliamo parlare del video “Milanononsiferma”? Non adesso ma tra un po’ sì, perché la questione non è il video in sé quanto la discrasia tra tempi del virus e modi della reazione da un lato e affermazione di una idea di  Milano almeno dubbia dall’altro), e tutto che rimanda ad una idea di ruolo, funzione e competenze dei comuni su cui si sono sprecate parole per molti anni ma che non reggono fuori dalla ordinaria amministrazione. Eppure proprio qui risiede una possibilità autentica di gestire le emergenze guardando con attenzione alle esigenze democratiche, partecipative, di condivisione più ancora che di consenso, d attivazione di forze reali che le emergenze possono mettere in mora. Mi limito ad una considerazione: tra le risorse da attivare non ci sono quelle di tipo elettorale. Da un lato queste sono sempre in servizio: senza la caccia al voto non si spiegherebbero tante cose dette e fatte da sindaci, presidenti ecc. Dall’altro, ogni poche settimane c’è un turno elettorale parziale, semigenerale, locale, per tipologia di enti, per sostituire un deputato e così via. Da qui una emergenza permanente da stress preelettorale. Anche questo dovrebbe essere oggetto di una qualche correzione costituzionale: nessun Paese può reggere due o tre campagne elettorali all’anno.
  6. Occorre poi fare un discorso serio sulla gestione delle emergenze. A sinistra scattano vecchi accenti quando si parla di esercito. Lasciamo pure a parte il discorso sulla leva e sull’esercito di massa (ho cambiato idea rispetto ad anni fa, quando si decise di passare a quello di mestiere, anche se in modalità “alle vongole”, perché la leva di massa è stata solo sospesa, se ricordo bene) ma proviamo a pensare perché si ricorre – da sempre e ovunque – all’esercito per le emergenze. Le ragioni sono le seguenti: è un organismo autosufficiente, dalla mensa alle tende agli impianti e alle specializzazioni tecniche, quindi possono funzionare anche nel crollo delle strutture civili normali; è operativo senza orario di lavoro; ha una composizione per età in linea di partenza nel pieno vigore psico-fisico; ha linee di comando chiare e certe; ha una (teorica) prontezza di esecuzione non paragonabile alle strutture civili; è in rado di operare sia con il consenso sia per autorità. Dunque, ragioni di fatto, non di principio. E’ la debolezza della politica che sposta tutto sul piano dei principi, per di più in modo artificiale. Certo: se li si manda in giro con il mitra contro il virus…ma anche questa è la prova che fanno più danni i cretini dei malintenzionati! (ci deve essere un virus anche per questo, non ancora scoperto).

PS – Una autocritica è doverosa: ho scritto che Alitalia non stava operando voli per il rientro di studenti (ma anche lavoratori e vacanzieri) italiani bloccati all’estero dalle misure anti contagio. Non è così e gli errori vanno corretti. Non  cambio idea sulla necessità che Alitalia chiuda e sulla inopportunità di approfittare del decreto anti virus per dare altri soldi pubblici ad una impresa decotta. Per fortuna la UE interverrà: il Patto è un ferrovecchio per tante ragioni ma gli aiuti di Stato sono impediti. Semmai il problema è di darli a chi se li merita: ma è un discorso da fare tra i tanti cambiamenti da produrre nel dopo virus.

1 thought on “Non si deve aspettare il “picco” o la discesa delle curve drammatiche di questi giorni per avviare le politiche e le scelte della ricostruzione.

  1. Riflessioni su emergenza sanitaria
    Virus e ambiente: esiste una correlazione con la situazione ambientale e climatica, come lo smog ?

    Virus e cittadini: decreto di chiusura di 18 provincie e fuga verso il sud di cittadini. Decreto per non recarsi alla seconda casa. Ma chi sono queste persone? Una prima valutazione parla di persone istruite e benestanti

    Virus e sistema sanitario: nel giro di poco tempo sono stati ampliati le strutture ricettive di terapia intensiva. Non solo con gli ospedali da campo o provvisori. Ma anche utilizzando spazi interni alle strutture sanitarie. Ergo esistevano diversi spazi in disuso. Forse perché l’idea è quella di ridurre di più le strutture pubbliche per far spazio alle strutture private?

    Virus e istituzioni: un altro tema sono le istituzioni. Non solo con i loro tempi di risposta alla emergenza. Ma anche per i ruoli che a volte si vanno a sovrapporre (se non a confliggere quando esistono problemi di rapporti anche “personali”)

    Virus con diritti e doveri: il tema potrebbe essere così riassunto: ho il diritto di uscire (fa parte della mia libertà personale) e ho il dovere di stare a casa (fa parte del rispetto verso gli altri). Ma diversi stanno pensando che un termine, con i suoi significati, prevale sull’altro.

    Si scrive che da questa epidemia usciremo diversi. Sicuramente. Ma dipende che strada prenderemo. E quindi il futuro è tutto da costruire

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