Milano e la fase 2

Il Comune ha aperto la consultazione sul documento per la “strategia di adattamento” alle nuove condizioni poste dalla pandemia. Bene. Però ci sono almeno tre problemi rilevanti, che in realtà ci sono dall’inizio dell’emergenza.

  1. Come si realizzano gli obiettivi? E’ il problema di sempre, di ogni proposta politica, ma è anche il terreno sul quale si può innovare davvero. Semplificare le regole per appalti, lavori, contratti? Certo, ma non sarebbe meglio dire come, dato che ci sono già biblioteche piene di proposte? Semplificare le pratiche e dare risorse: perché non compensare debiti e crediti con la PA? Certo le leggi vigenti non aiutano ma un tempo Milano riusciva a porre il problema al governo ed otteneva le riforme necessarie. Risorse carenti? Certo, però invece di lamentarsi con la Regione si può lanciare qualche strumento che raccolga il risparmio dei milanesi per indirizzarlo non come vogliono Fedez e Ferragni ma come deriva dalle priorità che il Comune decide?
  2. Il rapporto con il futuro. L’emergenza ha fatto esplodere problemi che c’erano già tutti prima, ha “solo” aggiunto il virus. Ma negozi sull’orlo della tenuta economica c’erano da tempo; qualche effetto di bolla nel settore della ristorazione era lì da vedere, la diffusione del lavoro precario e magari non del tutto legale c’è anche a Milano, le difficoltà di istruzione, abitazione, lavoro in molti dei nostri quartieri erano note. Uscire dalla emergenza vuol dire porsi il problema di superare questi ostacoli e quindi di ripensare le vie lungo le quali Milano si è sviluppata, come ambiente sociale, come ambiente economico, come ambiente tout court natura, case, infrastrutture. Ogni quartiere deve avere i servizi essenziali a 15 minuti a piedi? Con entusiasmo, sì! Ma va rifatto il PGT e anche molti progetti andranno rivisti: meglio dirlo e iniziare un cammino nuovo. Milano non può certo restare quella del video di febbraio (pur comprendendo che non si disponeva dei dati che si conoscono oggi: però si sarebbe dovuto disporre del buon senso ma parafrasando Manzoni, più stracitato che letto, forse si è stati prigionieri e artefici del senso comune) che era fuori luogo rispetto al momento  ma anche così naturalmente figlio di una idea di una Milano tutta eventi e stereotipi. Deve cambiare l’economia e il rapporto con la natura? Quale grande occasione per una grande città: siamo andati avanti qualche anno, preparando e poi realizzando Expo, a illustrare una grande metropoli di livello mondiale con la originalità di essere “a portata di mano” e proprio così possiamo aprire una nuova fase. E nel futuro c’è da riconsiderare la città e il suo sviluppo, i nodi di lungo periodo nemmeno sfiorati da anni e anni, la casa come perno della vita delle persone. Un esempio per tutti: siamo certi che dopo il virus si debba dedicare tanta attenzione ad un eventuale nuovo stadio del calcio? Si dirà che non si può rinunciare ad investimenti ingenti: giusto ma non si può nemmeno subirli. A meno che in “cambio” non ci siano – che so – 20.000 alloggi popolari di qualità.
  3. Ed eccoci al terzo problema, la fase 2. Come il Governo nazionale, anche Milano ci arriva strattonata, in parte dalla Regione (dicendo cose opposte da un giorno all’altro, finisce per sembrare sempre di avere ragione ma invece continua a cumulare errori su errori), in parte da sé stessa. Per andare alla fase 2 occorre aver capito cosa è successo nella fase 1, quali sono state le specifiche questioni dell’emergenza, rispondere al quesito che tormenta l’Italia sul perché Milano sia ancora oggi dentro e  non fuori dalla crescita dell’epidemia. E’ una tappa di governo, su cui si misurano i gruppi dirigenti (anche di banche, industria e commerci, sia chiaro, non si pensi che siano esenti). Per riaprire – ma altrove abbiamo chiarito che non di riapertura, non di ripartenza ma di ricostruzione si debba parlare – occorre che siano garantiti strumenti, interventi e strutture in grado di gestire la fase discendente dell’epidemia e soprattutto di intervenire con il rigore e la prontezza necessari se dovesse ripartire (per lei sì va bene il verbo). Le RSA sono una parte importante di Milano e dei suoi abitanti: deve prevalere il senso di rappresentare questi abitanti, i loro bisogni e in casi estremi anche i loro sentimenti. Non si può fermarsi alla denuncia delle responsabilità e delle competenze – per di più a posteriori. Si deve e si può (sì, si può, e se qualche legge sembra impedirlo, si può anche sfidare, a mali estremi) intervenire in ogni campo: aprire aziende fabbriche e uffici, servizi pubblici e privati il 4 maggio è una scelta giusta se sono stati messi a punto  la disponibilità dei DPI (tragicommedia che dura dal 23 febbraio e non pare ancora risolta), se ci sono servizi di cura territoriale, se si abbandona la scelta – comprensibile nei primi 15-20 giorni dell’ondata di piena ma non più successivamente, a tacere dei piani di emergenza inesistenti – di lasciare ammalati a casa, così peggiorando arriveranno in ospedale in condizioni critiche.

Ecco, così si prepara il 4 maggio – e magari qualche forma di consultazione e coinvolgimento non sarebbe stata di troppo, senza una data-capestro ci si sarebbe potuti preparare più adeguatamente.

P.S.: nel tracciare i punti in cui stare in piedi sulle metropolitane, meglio scegliere quelli dai quali  sia possibile reggersi ai sostegni: economia che riparte, Milano non si ferma…tranne quelli caduti per le frenate del metro.