4 maggio: avviare uscita dall’isolamento ma cambiando la gestione dell’emergenza sanitaria

un contributo di Pino Landonio e Alessandro Pollio Salimbeni

Alleggerire le condizioni dell’isolamento e del blocco di tante attività economiche, sociali e civili è una necessità: sotto il profilo del reddito dei cittadini – che siano lavoratori dipendenti o  autonomi, che siano attivi, disoccupati o in formazione, della estensione e della qualità del tessuto produttivo, della articolazione del tessuto commerciale e della distribuzione e dei servizi; oppure sotto il profilo delle attività culturali e sociali, della scuola e della formazione, tessuto connettivo della società; per tutte queste ragioni la nostra società deve reagire e tornare a funzionare.

Quanto e fino a  che punto, va deciso in stretto rapporto con il controllo della situazione sanitaria e delle fasi della pandemia in corso. Sappiamo che la prima fase di espansione del contagio sembra essersi fortemente attenuata; sappiamo che è ancora aperta la ricerca dei farmaci più incisivi e ancora di più quella dei vaccini; sappiamo, quindi, che dovremo convivere con il pericolo ancora per un lungo tratto.

Si può riprendere una parte – e ci auguriamo tutti sia di dimensione crescente nel tempo – delle attività ordinarie predisponendo tutte le misure in grado di mantenere la situazione sanitaria sotto controllo.

Su questo piano, sembra invece che il ritardo sia ancora assai grande, in relazione alla certezza di avere e distribuire i necessari dispositivi di protezione individuale, alla esistenza di una rete di rapido accertamento della espansione del contagio, alla predisposizione di un piano che connetta strettamente la dimensione territoriale e la dimensione ospedaliera degli interventi. Sono i punti critici che hanno reso durissima la fase iniziale, difficile quella intermedia e che oggi sono il maggiore ostacolo alla riapertura che ormai tutto sembra portare al prossimo 4 maggio. Né la conferenza stampa del Presidente Conte né il piano che il  Comune di  Milano sta sottoponendo a consultazione né la Regione Lombardia hanno finora dato notizie o presentato piani e programmi dettagliati e convincenti.

In base alla esperienza fin qui compiuta e ancora sotto l’impressione di tante forme di inadeguatezza e di improvvisazione che hanno visto da un lato un generosissimo quanto eccessivo onere su medici ed infermieri e dall’altro la creazione di vere e proprie situazioni di inaccettabile drammaticità come nelle RSA, riteniamo si possano indicare alcune misure urgenti e comunque preliminari a qualsiasi ipotesi di riapertura.

Va da sé che qualsiasi ritorno alla attività dei luoghi di lavoro – in senso generale – deve prevedere la definizione di protocolli per la sicurezza seguendo l’impianto degli accordi già stipulati in alcune grandi aziende italiane, adeguate alle singole realtà produttive con intese sindacali articolate, anche su base territoriale per le aziende di minori dimensioni.

  1. I dispositivi di protezione individuale. Secondo un indiscutibile ordine di priorità che va dal personale sanitario (degli ospedali, delle strutture assistenziali e del territorio) a tutti gli addetti a servizi pubblici indispensabili (trasporti e reti industriali e tecnologiche) e a mansioni di contatto di massa (commercio e distribuzione), i quantitativi di mascherine, camici, guanti, calzari ecc. devono essere quantificati nella consistenza e nel flusso di rifornimento, reperiti, stoccati e messi a disposizione in via preventiva. Per la popolazione occorre prevedere un adeguato e diffuso sistema di distribuzione, attraverso la rete delle farmacie  e del commercio al dettaglio. I datori di lavoro, sopra una certa soglia dimensionale, provvederanno, nell’ambito dei protocolli di sicurezza sul lavoro (v. sopra).
  2. Monitoraggio e intervento sulla diffusione del contagio. Il sistema cui si pensa non può essere centrato soltanto sulle app: già il fatto che ve ne sia più di una segnala un problema di efficacia e non solo di concorrenza tra istituzioni. Una indagine sierologica ampia che coinvolga non solo tutto il personale sanitario ospedaliero, delle RSA e dei servizi territoriali, ma anche campioni statisticamente significativi della popolazione, stratificati per età, dovranno essere la premessa per un monitoraggio della infezione e della immunità acquisita. Occorre poi mettere a punto un preciso sistema di segnalazione, accertamento e intervento successivo alla segnalazione di sintomatologie che entro i limiti definiti dal sistema sanitario sulla tempestività/efficacia dell’intervento assicuri la piena presa in carico del potenziale ammalato e – come finora non è stato – tamponi per chi denunci sintomi e  indagine sugli asintomatici. Più in generale, il sistema deve anche prevedere che siano attrezzate strutture (modello Hotel Michelangelo) per trattamenti differenziati in base alla condizione, per scongiurare (ed anzi, nel frattempo cercare di svuotare e riassorbire) la creazione di due vere e proprie trappole – che in questo caso hanno già significato diffusione del contagio, della malattia ed anche dei decessi – nelle case e nelle strutture di assistenza.
  3. Sia per assicurare l’intervento precedente sia per cambiare strada rispetto a quella della emergenza, occorre predisporre un accurato sistema che finalmente possa lavorare su due gambe, quella territoriale e quella ospedaliera. Il problema non è solo alleggerire la spaventosa pressione sugli ospedali (già questo obbiettivo giustificherebbe un impegno specifico) ma soprattutto fare in modo che l’ospedale sia la soluzione di estrema istanza e per le situazioni gravi. Il decorso della malattia ha già dimostrato che essa produce effetti e condizioni assai differenziati. E’ altrettanto certo che spostare in avanti l’intervento di cura – anche con la assenza di farmaci specifici – fa sì che nel vuoto di assistenza nelle case i malati rischino di più un aggravamento e che il successivo ricovero in ospedale avvenga in condizioni largamente compromesse e di più difficile soluzione, a tacere dei connessi rischi di contagio e di diffusione ad opera dei familiari.
  4.  I medici di medicina generale singoli (o meglio se associati) devono tornare ed essere il perno del sistema territoriale di vigilanza, cura e controllo, dovendo essere obbligatoriamente la prima sentinella cui segnalare il sintomo febbre e dai quali, se coesistono sintomi sospetti, deve partire l’attivazione delle USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale). Queste però devono essere in numero sufficiente (certamente più di quelle previste dalla regione, anche destinando all’uopo le attuali ADI Assistenza Domiciliare Integrata), adeguatamente formate e attrezzate per poter andare tempestivamente a domicilio, consegnando anche il dispositivo necessario alla sorveglianza domiciliare (il saturimetro), e potendo anche eseguire i tamponi necessari a una tempestiva diagnosi, in modo da poter valutare l’indicazione alla ospedalizzazione. Dovrebbe poi partire dai servizi di prevenzione della ASST (Azienda Socio Sanitaria Territoriale) e di ATS (Agenzie di Tutela della Salute)il tracciamento dei familiari e degli eventuali contatti per provvedere ai necessari confinamenti. 
  5. Quanto al ruolo specifico del Comune, oltre alla collaborazione già in atto per le dimissioni protette in una struttura alberghiera, sarà opportuno creare un numero telefonico specifico cui segnalare tutte le possibili emergenze e necessità; costituire una task-force (formata da personale dell’assessorato al welfare e della vigilanza urbana) che possa affiancare ATS e ASST nel tenere un registro delle persone contagiate ed in isolamento, e che possa concretamente supportare le loro necessità; infine occorrerà predisporre un servizio psicologico di supporto ai cittadini colpiti da lutto o con problematiche psico-sociali connesse alla pandemia.   

La politica sanitaria è certamente di competenza  e responsabilità regionale ma la Regione è all’origine di molti dei problemi cui appare indispensabile dare risposta urgente, in conseguenza della realizzazione di un sistema rigidamente ancorato al primato delle strutture ospedaliere e anche su questo piano con strategie che non hanno favorito la rete pubblica nel suo insieme. Ma di questo si parlerà, si giudicherà e si cambierà dopo. Certamente deve essere superata la logica per cui “si chiede” per assumerne una che “agisca”: il Comune non può non farsi carico della complessiva funzione di rappresentanza e risoluzione dei problemi dei cittadini che amministra (peraltro, lo dicono anche le leggi, se non bastasse la politica), in concreto e in collaborazione sempre e in confronto anche serrato quando necessario con tutti gli altri livelli istituzionali, Regione, Governo e non tralasciando la dimensione della Città metropolitana. Riaprire una società è una funzione complessiva, non si può fare per parti separate.