Cercasi Classe Dirigente

L’emergenza sanitaria ha fatto emergere, com’era inevitabile, i mali storici del paese . Innanzitutto l’assenza di una classe dirigente all’altezza della sfida. Troppo facile prendersela con l’attuale leadership politica, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa!

L’emergenza sanitaria ha fatto emergere, com’era inevitabile, i mali storici del paese . Innanzitutto l’assenza di una classe dirigente all’altezza della sfida. Troppo facile prendersela con l’attuale leadership politica, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa! Certo, la sola idea che abbiamo rischiato di avere a capo del governo personaggi come Salvini o Di Maio mi fa semplicemente rabbrividire. Ma del resto come stupirsi dopo circa un ventennio di bombardamento continuo, politico e mediatico, contro il cosiddetto palazzo, contro i professionisti della politica, in nome del rinnovamento o della cosiddetta rottamazione.

Quando parlo di classe dirigente, però, penso ad una categoria molto più ampia di quella politica, mi riferisco, cioè, a quell’insieme di individui in grado di esercitare un certo potere in virtù del proprio ruolo nella politica (sia nelle istituzioni elettive che negli alti gradi della Pubblica Amministrazione), nell’economia (imprenditori, amministratori delegati di grandi aziende private), nell’arte, nella scienza, ecc.

È su questo che l’Italia evidenzia le sue carenze rispetto ad altri paesi. Il tema della debolezza delle classi dirigenti italiane affonda le sue radici indietro nel tempo, fin dalle origini del processo di unificazione politica e modernizzazione economica nella storia d’Italia. In questo paese, diversamente da altri, è mancato l’impulso di una grande borghesia capitalistica in grado di indirizzare la nascita di uno stato moderno liberale. L’Unità d’Italia è avvenuta all’insegna di un compromesso fra gli interessi della borghesia capitalistica del Nord e quelli dei latifondisti agrari del Sud, piuttosto che all’interno di un disegno realmente democratico ed unitario.

Un altro importante elemento che ha caratterizzato questo paese fin dalla sua nascita è il trasformismo delle sue classi dirigenti, politiche e non. “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, dice un personaggio del “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa. In questo paese la formazione delle classi dirigenti avviene attraverso un processo di cooptazione e di assorbimento dei soggetti nuovi scaturiti dalle dinamiche sociali.

Come stupirsi, quindi, se la nostra classe dirigente possiede un titolo di studio inferiore rispetto ai paesi dell’Unione Europea. In Italia solo il 31% delle élite è laureato, contro il 51% degli inglesi, il 58% dei francesi e il 65% dei tedeschi. Del resto a cosa serve laurearsi quando i meccanismi di selezione sono fondati più sulla base di relazioni interpersonali che sul riconoscimento oggettivo dei meriti individuali? E poi noi non possediamo, a parte qualche eccezione, come i Politecnici, la Normale di Pisa e la Bocconi, delle scuole di formazione delle élite come quelle francesi o inglesi.

Nel nostro paese, che pure presenta molte singole eccellenze, manca quello spirito unitario, quella capacità di fare gioco di squadra necessario per disporre di una visione in grado comprendere l’interesse generale rispetto alle solite questioni particolaristiche. Un esempio è quello che accade nelle istituzioni europee, dove gli italiani continuano ad azzuffarsi sulle piccole beghe della politica italiana, invece di convergere sugli interessi nazionali, come fanno altre nazioni.

Solo nell’immediato dopoguerra abbiamo sperimentato qualche esempio virtuoso di una classe dirigente, forse temprata dalle difficoltà dell’epoca, che ha, di fatto, ricostruito il paese trasformando un piccolo stato agricolo in una potenza industriale. In quegli anni di guerra fredda, pur nell’ambito di una forte contrapposizione politica, i maggiori leader politici, insieme ad un gruppo di imprenditori illuminati ebbero visione, capacità e senso del bene comune. Non mi sembra, purtroppo, che oggi accada la stessa cosa.