Quando il piatto è vuoto i commensali si accusano di essere ladri

Dal Burundi, ma anche dal nostro cortile. Un articolo di Angelo Inzoli – per cortese disponibilità del periodico Noi Zona 2.

Ricordo con precisione dove e quando ho udito questo proverbio per la prima volta. Ero in Burundi, nel 2005.Il paese stava uscendo faticosamente da una guerra civile che aveva travagliato tutta la regione dei Grandi Laghi. In Burundi, 5 milioni di abitanti, si erano contati in 10 anni almeno 300 mila morti in attentati, assassinii mirati, eccidi pianificati per mano delle 15 fazioni ribelli e di gruppi esterni che si contendevano il controllo del paese. La popolazione era stremata. Ma qualcosa di più profondo della sofferenza provocata dal conflitto civile turbava la vita sociale e dovevo scoprirlo durante la mia permanenza nel paese delle mille colline.

Io ero il primo europeo, dopo 13 anni, a rientrare nel paese per una ragione che non fosse militare o umanitaria. Allora, dottorando in Scienze Politiche presso l’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio, stavo studiando lo sviluppo delle ONG di matrice religiosa in Africa. Il Burundi rappresentava un laboratorio inesplorato e sufficientemente limitato per questo lavoro. La mia ricerca consisteva nell’intervistare i maggiori responsabili nazionali operanti nel settore della promozione e gestione di progetti internazionali di sviluppo. Si trattava di una filiera importante, una delle poche capace di portare nel più piccolo e nel più povero stato dell’Africa Centrale risorse finanziarie e infrastrutture comunitarie (sanità, scuole, acqua potabile) altrimenti inimmaginabili. I professionisti dello sviluppo costituivano una élite invidiata e ben pagata, al punto che il riuscire a farne parte era considerato un risultato di riuscita sociale e professionale.  Le porte di accesso a questo mondo – nel quale ero stato autorizzato ad entrare – erano presidiate da fitte reti di relazioni etniche e parentali in cui i dirigenti locali, politici e religiosi, giocavano un ruolo di primordine   

Quello che ad un certo punto mi colpì erano, però, le persistenti accuse di corruzione e malaffare che toccavano anche le organizzazioni oggettivamente più sane e l’accusa di appartenere a reti opache rivolta a chi lavorava in esse. Un giorno chiesi ad una funzionaria molto qualificata se non fosse amareggiata da questo clima sospettoso e dal giudizio poco lusinghiero da parte di chi pure approfittava delle infrastrutture che realmente venivano realizzate nel territorio. Essa mi rispose: “Spiegare il nostro ruolo e le regole della cooperazione internazionale alla gente non è facile! La maggior parte della popolazione vive nella miseria. Parlare di economia a chi non sa cosa mettere nel piatto dei figli la sera è difficile. Qui si dice: quando il piatto è vuoto i commensali si accusano l’un l’altro di essere ladri”. Ecco il fossato dentro il quale anche la cooperazione era inavvertitamente impigliata: quello tra la miseria dei più e il privilegio di alcuni. Capii quello che intendeva dire un sociologo americano – Peter Uvin – che indicava proprio nel rancore accumulato in anni di diseguaglianze createsi in seno alla popolazione in seguito all’azione delle ONG internazionali una delle molle della violenza esplosa nella regione dei Grandi Laghi.

Ecco, dunque, il senso del proverbio: la miseria, amplificata dalle diseguaglianze tra mondi contigui, spegne la fiducia sociale, alimenta il rancore, innesca il sospetto. Chi ha successo è visto come un ladro di opportunità e causa della miseria altrui. Chi è nella miseria è accusato di essere un parassita e un opportunista, incapace di andare oltre la ricerca di un profitto immediato e cooperare allo sviluppo del paese. In un popolo la miseria si installa così, con il suo esercito di paranoie e rancori contro chi non appartiene al nostro “giro”. Siano questi gli stranieri, i rom, gli altri. Scintille di frustrazione che accendono fuochi quotidiani e che alimentano la tensione sociale. Solo una fattiva solidarietà e un patto politico forte tra le parti in gioco, per un bene realmente di tutti, può disinnescare questa guerra. E questo è vitale per la sopravvivenza di tutti perché, ricordiamocelo: c’è sempre chi ha interesse a che la guerra dei poveri esploda. In Africa come in Europa. Allora come oggi.