È giusto pagare i riscatti?

Per Silvia Romano probabilmente lo si è fatto, per altri probabilmente no. La questione non è semplice, né riducibile in termini volgari come fa la destra più becera. Per capire davvero bisogna tenere distinto ciò che vogliamo dallo Stato dal comportamento dei singoli cittadini e delle singole organizzazioni.

Lo Stato, a parer mio, ha sempre il dovere di fare ogni sforzo per proteggere e salvare la vita di qualunque cittadino. Il diritto alla vita e alla salute è un diritto costituzionale fondamentale, che non può essere fatto dipendere da meriti o demeriti del cittadino stesso: anche un criminale avrebbe lo stesso diritto ad essere tutelato. Nemmeno il “costo” può essere un elemento di valutazione, se lo fosse dovremmo accettare di non prestare più cure costose ai vecchi, di trascurare i disabili e altre orribili cose.

La scelta dei mezzi da usare, interventi di forza militare, pagamento di riscatti in denaro o prezzi politici, dipende dalle situazioni e dalle possibilità, capacità (nel senso di “capabilities”) degli organi di tutela. Sono valutazioni da lasciare agli specialisti responsabili, come lasciamo ai chirurghi la decisione sulla nostra cura. Voglio ricordare qui con grande rispetto un uomo dello Stato, Nicola Calipari, morto nel 2005 per salvare una giornalista che era appena riuscito a far liberare (fu ucciso, forse per errore, da un soldato nordamericano).

La legge italiana vieta ai parenti di pagare il riscatto per un familiare rapito: può essere giusto se risulta essere la cosa più efficace, se no, non lo è. Sancire il divieto per legge mi pare una linea troppo superficiale: al limite, potrebbe essere giusto vietarlo ai parenti e che lo paghi lo Stato, persino in Italia, ma lo decidano i tecnici volta per volta.

In anni ben più tormentati, abbiamo fatto scelte contraddittorie. Nel 1978 il “fronte della fermezza” (il PCI di Berlinguer, quasi tutta la DC, il PRI e i grandi giornali) rifiutò qualunque atto politico per ottenere la liberazione di Aldo Moro e il rapimento finì con la sua uccisione. Non affermo che una linea diversa avrebbe cambiato il destino dell’uomo, certo comunque il tentativo di salvare una vita umana, come allora aveva chiesto anche Papa Paolo VI, fu posposto ad altri valori. Consideravo allora questa scelta inaccettabile, e non ho cambiato parere diventando vecchio. Le stesse forze politiche, invece, nel 1981 consentirono che un riscatto in denaro e concessioni venisse pagato alle Brigate Rosse per salvare la vita dell’assessore campano Ciro Cirillo, che infatti fu liberato.

La priorità data alla salvezza dei singoli può e deve coesistere con l’obbligo, per il singolo cittadino e tanto più per le ONG, di comportamenti responsabili. Temo che il caso Romano dimostri purtroppo impreparazione e superficialità della ONG organizzatrice della sua attività.  Conoscenza, cautela e prudenza non possono essere pretese da giovani volontari entusiasti, da chi li coordina sì, e trascurare le indicazioni degli organi dello Stato è un comportamento inaccettabile che deve essere impedito. Ciò che mette in pericolo sé stessi e gli altri è giusto che sia punito, che lo si faccia per ragioni nobili oppure per andare in cerca di avventure, sia che l’evento critico si verifichi o no.

Post-scriptum: non tutto mi appare chiaro nella vicenda del rapimento Romano, come nella vicenda Regeni, come nella morte di Calipari, come nel delitto di Ilaria Alpi, e in varie altre occasioni. Nessuno contesta le esigenze di segretezza nell’attività dei Servizi, però, a ragionevole distanza di tempo dai fatti, maggior trasparenza sarebbe doverosa.

1 thought on “È giusto pagare i riscatti?

  1. Il problema mi pare rimanga aperto. Certo che lo stato deve proteggere la vita di qualunque cittadino (e forse anche di qualunque non cittadino), ma questo è un criterio troppo vago, inadatto a prendere decisioni pratiche in casi reali. Il punto è capire cosa pesa di più, nel momento in cui si deve scegliere tra pagare o non pagare e poi quanto pagare. Credo che la legge dovrebbe dare dei criteri a cui lo stato abbia l’obbligo di conformarsi e che alla fine, qualsiasi sia l’esito, le decisioni prese dovrebbero sempre essere sottoposte al vaglio di un ente specifico, una specie di giuria ad alto livello. Purtroppo saranno sempre alternative del diavolo e questo ci fa capire che la cosa migliore sia certamente la prevenzione. Non possiamo continuare a non far tesoro delle pessime esperienze passate. Le due Simone, Giuliana Sgrena, le due cooperanti Marzullo e Ramelli, tutti casi in cui persone che non erano in grado di capire il pericolo in cui si mettevano e che non erano comunque capaci di attuare nessuna reale autodifesa, sono state lasciate entrare in una situazione di rischio senza che nessuno abbia fatto nulla per evitarlo. Occorre una legge che imponga un permesso sulla base di parametri precisi per poter andare a svolgere attività in aree a rischio, e mi sembra che questo sia adombrato, anche se velatamente, da Paolo. Ovviamente, erogato il permesso, lo stato ne diviene responsabile. Non risolverà del tutto il problema, ma certo ne limiterà l’entità.

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