Denari molti, priorità poche

E’ giusto immettere denaro nel sistema, per le imprese e per le persone. Però i soldi non sono infiniti e non si possono rinviare le scelte.

55 miliardi di euro sono una montagna di soldi, due finanziarie dei tempi normali, si è detto. E di queste condividono il limite più grande: non esprimono una riconoscibile scelta di priorità ma mantengono il carattere di risposta a ogni tipo di richiesta che provenga dai più differenziati settori sociali.

Eppure, le priorità non sono lo scrupolo di anime belle, quelle magari alle quali manca sempre “ben altro”. Sono invece l’unico strumento a disposizione per indicare una strada al Paese, tanto più quando le risorse sembrano essere giunte al punto limite del reperimento: è chiaro a tutti che si sta operando in deficit, possibile solo sotto l’ombrello della UE (quanto suonano ridicole le frasi ripetute fino a poco tempo fa sul “fare da soli”!), e possono essere ancora utilizzati i fondi MEF (pronti subito) e il Programma di Ricostruzione (ancora tutto da definire). Si tenga però presente che in massima parte questi fondi sono prestiti: per quanto a tasso minimo e a scadenza lunga, vanno restituiti e per fare questo ci vorrà ripresa economica, incremento della ricchezza creata, avanzo primario consistente. E si tenga poi conto che, grazie alle tragiche incertezze politiche di “prima”, la finanziaria di autunno – o quel che ci sarà a quell’epoca – dovrà trovare, salvo errore, altri 20-25 miliardi per sterilizzare l’aumento dell’Iva: ecco cosa signiifica firmare cambiali, che ovviamente non potranno essere messe a carico di fondi europei.

Appare indispensabile muovere i passi di oggi e quelli dell’immediato domani lungo tre strade.

La prima è il recupero di criteri di equilibrio e di equità, che sono alla base della sostenibilità sociale degli interventi dello Stato. Non si può andare avanti – ed anzi anche qui si è raggiunto un punto limite – senza avere precisa conoscenza di quali parti dell’apparato industriale e produttivo del Paese ha davvero sofferto di una riduzione della attività e dei risultati economici. Una parte ampia non ha mai chiuso, ha assicurato la spina dorsale economica e funzionante del Paese, dal settore dell’energia alla grande distribuzione: intervenire a pioggia – come nel caso dell’Irap – è un non senso economico, disperde risorse preziose e emette un segnale non positivo.

La seconda strada è saper distinguere tra quanti non hanno avuto riduzione del reddito e della retribuzione, perché hanno lavorato con continuità (nel pubblico e nel privato) o percepiscono pensione, quanti hanno sofferto riduzioni e in quale grado e quanti invece sono rimasti del tutto privi di entrate.

In entrambi i casi, occorre prendere non solo atto ma conoscenza precisa di quanto grande siano le aree di chi – impresa o individuo – vive “sul pelo dell’acqua”, come dice Marco Revelli. Con tutta evidenza – e lo si sapeva da prima, anzi da sempre – una parte rilevante di realtà economiche, massime nel piccolo commercio, di imprese individuali, vere e presunte per costrizione come tante partite Iva, vive in condizioni di reddito marginale, magari in rado di contribuite ma non di sostenere una famiglia anche se di piccole dimensioni. E’ chiara la necessità di sostenere nell’emergenza ma altrettanto chiaro è che il futuro non può non vedere una trasformazione profonda di questi settori al confine con il lavoro povero. Dal punto di vista delle situazioni individuali, invece, il fenomeno è quello molteplice del lavoro povero, del lavoro precario, delle situazioni al margine della legalità, quando non addirittura un poco più in là. Sono tutte situazioni diverse, da affrontare con modi, interventi e tempi diversi ma che non possono essere mantenute nel tempo: la doverosa solidarietà non può essere una soluzione.

La terza strada non può che essere mettere mano almeno ai titoli della agenda della ricostruzione, cioè alla definizione dei campi di azione in base ai quali qualificare e concentrare l’impegno dello Stato, chiedere l’impegno dell’impresa privata, attivare il risparmio privato, attingere alle linee di finanziamento UE. L’ordine di elencazione dei passi da compiere non è casuale, corrisponde alla necessità che l’Italia si presenti al massimo livello di consapevolezza, di serietà e di affidabilità, interne ed esterne, e su questo basare un Patto per la Ricostruzione con le forze sociali del Paese.

Un primo elenco di azioni prioritarie, appunto, può essere il seguente:

  • Riforma del sistema dei controlli, delle autorizzazioni e dei procedimenti amministrativi, compresi i Codici per gli appalti e le norme per gli acquisti pubblici, ponendo l’accento sulle fasi di controllo successivo, di merito e in vista degli obiettivi; revisione del controllo amministrativo e contabile che ha prodotto sia paralisi sia deresponsabilizzazione degli apparati; revisione dell’apparato sanzionatorio, lasciando il controllo penale al suo carattere di ultima istanza;
  • Qualificazione degli apparati tecnici pubblici di progettazione e controllo;
  • Qualificazione del sistema pubblico nel suo complesso per una ricollocazione strategica dei servizi fondamentali di cittadinanza – salute, istruzione;
  • Le infrastrutture per l’Italia: elenco fin troppo noto, al quale la crisi aggiunge con accenti drammatici l’urgenza della banda larga e 5G su tutto il territorio nazionale e la razionalizzazione delle banche dati, innovando la gestione sul modello di Barcellona;
  • Impegno dello Stato per la realizzazione di alcuni centri strategici per i settori di R&S, sul modello Fraunhofer tedesco; sostenendo a livello UE la necessità di realizzare un nuovo modello CERN per la ricerca bio-medica e sui temi della alimentazione; aprire la discussione sui campioni nazionali e sui campioni europei;
  • Riordino di tutte le politiche del sostegno economico alle persone, spostando il peso verso la realizzazione di servizi universali invece della erogazione di sussidi monetari a base individuale;
  • Riordino degli strumenti del risparmio privato per aprire nuovi canali di immissione di risorse sia nell’apparato produttivo sia nello steso settore pubblico; valorizzazione ed espansione delle esperienze cooperative, di produzione e di servizio.

Si noterà che non è stato elencato il tema della riforma fiscale. Questa, in un paese civile e tanto più in un Paese segnato da ingiustizie, sperequazioni e rendite, è in realtà l’architrave che regge tutto l’edificio. In questa materia si sa già tutto ciò che c’è da sapere: il punto è che va fatto e ogni governo lo sa bene. Il virus finirà per spazzare via anche gli ultimi detriti delle proposte tipo flat tax e simili: il sistema sanitario ha curato anche quanti non pagano né vogliono pagare le tasse, in  odo equo, progressivo e per avere uno Stato e dei servizi efficienti ed adeguati, come dice la Costituzione. Nulla di più ma anche nulla di meno.

Vale anche per le istituzioni: la crisi di questi mesi ci dice anche che molte cose vanno cambiate. Sarebbe bene anche in questo caso, prima esplicitare gli obbiettivi ci si propone e poi darsi gli strumenti più utili per realizzarli.