La sinistra europea al bivio

Siamo alla vigilia di un possibile cambiamento delle politiche europee che abbiamo conosciuto negli ultimi vent’anni. Questo non perché alle prossime elezioni del parlamento di Bruxelles e Strasburgo, a maggio dell’anno prossimo, vedremo un sostanziale cambiamento dei rapporti di forza (può anche esserci, ma è improbabile) tra europeisti e antieuropeisti. Che la sinistra, in particolare socialista, non stia tanto bene è palese, ma era vero già quattro anni fa. Che i popolari europei della famiglia democristiana sentano la pressione a destra dei nazionalismi crescenti era anch’esso vero già quattro anni fa. Perderanno entrambi seggi e voti, e certamente le destre euroscettiche aumenteranno consensi. Ma che nel Parlamento continuerà ad esserci una più o meno larga maggioranza composta da liberali, socialdemocratici e popolari non penso possa essere in dubbio.

Tuttavia, molte cose cambieranno. La riflessione interna al partito di Angela Merkel può avere conseguenze significative e già all’orizzonte emerge una prospettiva: il modello austriaco. Un modello in cui la destra tradizionale, più moderata, sposta più a destra il baricentro e trova alleanze con i nazionalismi più spinti, controllando però il processo e cementandolo nel contrasto all’immigrazione e alla rinuncia a prospettive di ulteriore integrazione europea. Gioca a favore di questa prospettiva anche l’afasia della sinistra: gli unici partiti socialisti in buona salute sono quelli di Spagna (dove il PSOE ha virato a sinistra dopo un congresso chiarificatore ed è salito al potere disarcionando il PP grazie al supporto di Podemos, arrivando ora al primo posto nei sondaggi con il 28%) e Portogallo (dove l’impronta anti-austerità del governo portoghese ha ridato un senso all’azione politica della sinistra e spinto il PS al 40%), mentre il Labour di Corbyn al 40% è, dopo la Brexit, tagliato fuori da questo ragionamento. In Francia il PS non esiste praticamente più (5%), in Grecia sono in affanno sia Tsipras (nei sondaggi intorno al 25%) che i vecchi socialisti (7%), in Italia il PD è al 17%. In Svezia, che va al voto questo settembre, i socialdemocratici sono primi ma con appena il 25% dei voti. In Germania la SPD è scesa sotto il 20% e solo in parte questo consenso viene intercettato da Linke (9%) e Verdi (13%).

Il rischio è di trovarci, nel sistema politico europeo, ad assistere impotenti ad un nuovo asse politico di destra-destra. Difficile immaginare una sopravvivenza sul medio periodo per le istituzioni europee stesse, che anzi avrebbero bisogno di una notevole sterzata a sinistra per connotare il sogno federalista di un senso progressivo e sociale, capace di restituire anche ai cittadini la percezione concreta di un progresso della qualità della vita e delle condizioni materiali, lavorative, reddituali e di formazione nell’ambito comunitario. Il rischio più grave, anzi, è che proprio a causa di questa concreta minaccia la sinistra svolga un ruolo di mero difensore dello status quo. Sarebbe un disastro ideologico e politico, perché l’attuale Unione Europea non funziona e crea squilibri molto gravi, percepiti anche dai singoli cittadini. La speranza è che tutte quelle forze politiche e sociali che credono nell’Europa, ma in una visione differente rispetto a quella di oggi, mettano in campo uno sforzo anche culturale per affermare una visione di solidarietà e progresso. E’ difficile, ma senza questa prospettiva non c’è alternativa al modello austriaco.