La sinistra ha un futuro?

I risultati elettorali in tutta Europa, e non solo, pongono questioni di natura sostanziale ai militanti e alle classi dirigenti dei partiti di sinistra. La sinistra ha un futuro? La sinistra ha ancora una base sociale da cui ripartire? I valori che incarna sono ancora valori condivisi dalla società?

I risultati elettorali in tutta Europa, e non solo, pongono questioni di natura sostanziale ai militanti e alle classi dirigenti dei partiti di sinistra. La sinistra ha un futuro? La sinistra ha ancora una base sociale da cui ripartire? I valori che incarna sono ancora valori condivisi dalla società?

Sgombriamo il campo da alcune variabili. “Sinistra” è una parola troppo generica per poter strutturare una buona analisi, per questo ne assumeremo un’accezione precisa. “Sinistra”, per come verrà intesa in questo breve testo, nulla ha a che fare con le terze vie degli anni Novanta e successive svolte liberali e liberiste. “Sinistra” è quella posizione politica che, dopo la grande crisi 2008-2011, continua a sostenere la necessità dell’intervento pubblico in economia, una conseguente regolazione del capitalismo, un forte contrasto alle diseguaglianze, un approccio internazionalista ai problemi sociali ed economici e programmi di governo volti al sostegno della domanda interna. Un sinonimo, quindi, di “socialismo democratico”.

Nella società contemporanea assistiamo quasi inermi all’egemonia culturale di un pensiero opposto, che esalta l’individualismo, che coltiva la sfiducia verso lo Stato e tutto ciò che dello Stato è pilastro indispensabile come le istituzioni democratiche, la pubblica amministrazione, l’intervento pubblico in economia, l’importanza dei servizi pubblici universalistici. L’ultima derivazione dell’individualismo di massa è la sfiducia nella politica e l’anti-politica di governo. Aberrazioni del presente a tutto vantaggio di chi, già collocato in posizioni di forza, della politica non ha alcun bisogno per cambiare la società a proprio vantaggio.

Non abbiamo ancora visto le conseguenze ultime di questa deriva: la crisi sempre più grave delle condizioni materiali delle persone, l’assottigliarsi del ceto medio, la perdita di potere d’acquisto degli stipendi, la totale sfiducia nelle istituzioni nazionali e comunitarie e l’autoritarismo strisciante possono portare a catastrofici sbocchi anti democratici, ai quali le forze politiche di “sinistra” sono del tutto impreparate avendo inseguito per un ventennio ideali di centro e avendo completamente perduto il polso degli strati sociali più fragili ma anche più rabbiosamente insoddisfatti.

L’aspetto più contraddittorio di questa situazione esplosiva è che mai come oggi il senso di ingiustizia e il bisogno di riscatto sociale sono diffusi nell’opinione pubblica. Tuttavia, la mancanza di un pensiero politico di sinistra organizzato e l’egemonia culturale sapientemente costruita dagli avversari, portano ad esprimere questo bisogno di rappresentanza e cambiamento in forme politiche populiste e nazionaliste.

La “sinistra” ha un futuro, quindi? Non nelle forme che siamo abituati a conoscere. Il livello di politicizzazione della società è ormai talmente basso che nessuna proposta politica meramente identitaria o nostalgica potrà costituire una forza rilevante. Non basta sventolare una bandiera rossa, se nella società non ci sono più persone che si riconoscono in quella simbologia. La vera sfida dovrebbe essere quella di costruire una identità politica nuova, senza cedimenti valoriali rispetto alle caratteristiche del “socialismo democratico” a cui facevamo riferimento in precedenza, ma con la consapevolezza che un pensiero alternativo non è già presente e diffuso nella società, ma va organizzato e strutturato capillarmente.

Fondamentale è la formazione delle nuovi classi dirigenti. Se i partiti vogliono scommettere sul proprio futuro, offrano ai propri giovani militanti la possibilità di entrare maggiormente in contatto con altri giovani di sinistra in Europa e nel mondo. La globalizzazione è il futuro, anche per la politica. Sarebbe così importante avere scambi continui con altri giovani, magari impegnati in partiti socialisti africani o sudamericani, per meglio capire i contesti e avere più argomenti da spendere in Italia nella costruzione di una lettura alternativa degli scenari.

La seconda necessità, impellente, è ripensare l’impegno politico in funzione dei bisogni materiali. L’appello al voto non può più essere identitario (“votate per noi perché siamo noi”) e non è più credibile se unicamente antitetico (“votate per noi perché non siamo loro”). La sinistra esiste se sta dentro la società, se si batte per una sanità pubblica universale, per la scuola pubblica, per i trasporti pubblici efficienti ed economici. La sinistra esiste se estende la sfera dei diritti. Quelli civili, ma anche quelli sociali come il diritto alla casa, un problema sempre più grave nelle grandi città. Quando una battaglia è autentica, le persone rispondono. Chi crede in questi ideali, lavori per gettare un seme. Ci vorrà del tempo, ci vorrà molta cura, ma prima o poi germoglierà.