Riflessioni sull’io turista

Incontrare le folle di crocieristi col bastone da selfie scesi dalle grandi navi a Venezia ci irrita, eppure … Fin da ragazzo ho amato viaggiare,”andare a vedere”, prima con la tenda, poi, arrivati i guadagni del lavoro, con un po’ più di agio.

Col tempo ho cominciato a chiedermi dove stia il piacere del viaggio, cosa ci spinga a superare noie e scomodità.

Viaggiare vuol dire ampliare le proprie conoscenze, confrontarsi con l’altro da sé, cancellare pregiudizi, e questo pare bello e positivo per chiunque lo faccia. Come dicevo, incontrare le folle di crocieristi col bastone da selfie scesi dalle grandi navi a Venezia o vedere San Marino ridotta alla caricatura di un paesino medioevale, a vantaggio dello sciamare del popolo dei pullman, ci provoca un moto di fastidio, confessiamolo. Il turismo ha dunque le sue contraddizioni sulle quali ragionare. Per semplicità, mi limito ai viaggi fatti per “andare a vedere”: lasciamo da parte quelli che hanno uno scopo diverso, come andare al mare per fare i bagni, fare pellegrinaggio a Lourdes o alla Mecca, frequentare le discoteche a Rimini o a Ibiza, e restiamo al turismo in senso stretto.

Il viaggiatore abituale guarda il popolo dei selfie con irritazione. Cosa capiscono questi? Cosa sono venuti a fare? Con la loro invasione, mi costringono ad ore di coda ai musei e mi impediscono di gustare con tranquillità l’opera d’arte. Di più, il turismo di massa stravolge i luoghi, distrugge l’autenticità degli ambienti sociali. Il viaggiatore abituale si sente superiore, in virtù del livello culturale maggiore che si attribuisce, e se ne va altrove, in cerca di ciò che è “autentico”, finora incontaminato. Naturalmente, in breve i pullman lo inseguono là, e il ciclo ricomincia: il turismo divora sé stesso.

Ma, se il colto viaggiatore fa una cosa elegante e intelligente viaggiando, per logica non si dovrebbe negare che la stessa cosa avrà un valore positivo anche se decide di farla il popolo dei selfie: si deve ragionare con rigore. Fare turismo storicamente è nato come attività dei privilegiati (se non altro, per ragioni di denaro) e anche per questo procurava un certo apprezzamento sociale. Oggi, essere andati a Parigi è un must ma, da quando ci vanno tutti, compreso il fattorino del pizzaiolo, ha smesso di conferire distinzione: che rabbia, signora mia! Sotto la presunzione intellettuale del viaggiatore, affiora il classismo del borghese.

Per sfuggire alla tenaglia fra il selfie ed il classismo, bisogna chiedersi perché viaggiamo. Viaggiamo per poter dire: ci sono stato? Per raccontarlo poi agli amici con un mare di fotografie? Oppure davvero per imparare qualcosa di nuovo? A Notre Dame ci si può andare perché non me ne importa niente, ma non è Parigi se non ci sei andato, oppure chiedersi cosa è accaduto là nei secoli, chi e come ha lavorato a costruirla, come vive oggi chi abita nei dintorni.. Il senso del viaggiare sta nel rapportarsi davvero con l’altro. Non ha senso andare in Iran senza interessarsi alla storia e agli atteggiamenti della “shia” oppure senza chiedersi mai quanto può costare l’asino che l’anziana donna davanti a noi sta cavalcando. In questa luce, anche San Marino può avere aspetti interessanti per chiunque: dove e come vivranno, questi parcheggiatori, questi venditori di cianfrusaglie per i cinesi? Cosa si nasconderà dietro le targhe di tutti questi studi di avvocato? Non è il capitale culturale preesistente ma la sana curiosità a dare senso al nostro viaggiare.