Israele. Autobus, diritti dei cittadini e stato laico.

I servizi pubblici sono il segnale di molte cose: per dire di alcune di esse, pensiamo a struttura della società e delle città, rispetto di diritti essenziali (istruzione, movimento, salute) e coesione sociale, equilibrio finanziario e equilibrio sociale.

Alcuni giorni fa, Repubblica ha pubblicato la notizia che finalmente (!) a Tel Aviv sarà possibile disporre del trasporto pubblico urbano anche nelle giornate di sabato. Stiamo parlando della capitale di uno stato importante, di una città che ha fatto del turismo internazionale un punto di forza, di circa 500.000 abitanti che vivono, lavorano, studiano, si muovono, anche perché la sua area metropolitana vale 1.500 kmq e oltre 3,5 milioni di abitanti. Wikipedia ci ricorda anche che il 96% sono ebrei, 3% arabi musulmani, 1% arabi cristiani.

I partiti confessionali ebrei avevano imposto che il sabato fosse un giorno nel quale il trasporto pubblico è interrotto in ossequio al precetto religioso della astensione da ogni attività. Solo dopo un lungo contenzioso giuridico questa regola è stata superata.

Per fortuna ci sono giudici anche a Tel Aviv, per i quali il diritto alla mobilità ha prevalso su un precetto religioso che – se va certamente rispettato come qualsiasi altro di qualsiasi altra religione – non può in uno stato moderno essere imposto come norma generale, obbligante anche verso chi a quella religione è estraneo o anche la pratica e la vive in modo diverso e non integralista.

Insomma, lo stato e le sue regole, cioè la dimensione pubblica di una società, vengono prima delle legittime posizioni e credenze di una parte, anche se numerosa e se addirittura prevalente. E’ il succo della laicità, correttamente intesa come garanzia per tutti. Nulla vieta al credente – attenzione: al credente e praticante secondo una regola particolarmente rigida – di astenersi dall’uso dell’autobus. Affar suo come riesce a muoversi, sempre che lo voglia fare, affar suo se ritiene di restare fermo per una giornata.

Qui potrebbe finire la riflessione, con la positiva soddisfazione di registrare un passo avanti di laicità. Purtroppo, a rendere meno positivo il finale, ci sono due altre valutazioni: la prima è una rapida occhiata al calendario, che mi conferma essere l’anno 2019 (non so a cosa corrisponda nel calendario ebraico ma saremmo ancora più “avanti” nel tempo e quindi peggio mi sento!); la seconda è che queste forze integraliste – per le quali il diritto, lo stato, la collettività devono essere subordinate alla religione nelle sue versioni più ristrette – sono quelle che sostengono da lungo tempo i governi di Israele, ne sono la base per le scelte di politica interna ed estera, per la politica delle occupazioni, per quella della segregazione e discriminazione. Insomma, per tutte quelle politiche che prevedono che lo stato di Israele sia lo stato di un solo popolo e di una sola religione. Con quale riguardo per il resto della popolazione che si può immaginare.