Pretendere dati reali è un diritto, renderli pubblici è un dovere per rifondare la politica (e anche la sinistra)

Crolla l’Italia? si chiede Gad Lerner e si sente che anche per lui la tentazione è forte. Certo che in questi pochi giorni si è manifestata una tale fila di disastri che schianterebbe un bufalo ottimista, figuriamoci un governo.

Un governo che – finché è preda dei sussulti di un ectoplasma di carta (la tigre di cui parlava Mao sarebbe troppo onore) e dei penultimatum del Pd – trascolora sempre più in governuccio.

Ottimisti incalliti, continuiamo a credere che ci siano strade praticabili per riprendersi. Le sardine testimoniano di un clima e di una disponibilità di massa come fulcro di una leva che non si può immaginare venga da loro. Invece di articoli di colore e di pelose dichiarazioni, proviamo ad immaginare una agenda di cose da dire e fare per avviare un cammino virtuoso, proprio a partire dall’immagine di un Paese che si sfarina. Vale per Ilva, per Alitalia, per il disastro territoriale e infrastrutturale.

  1. Ilva e Alitalia. Chi, quando, con quale sequenza ha reso le decisioni che hanno portato al disastro attuale? Tabelle di sintesi, con date, oggetto delle decisioni, ministri competenti (per materia, non necessariamente per conoscenza!), soggetti interessati esterni al governo, costi (compresi i compensi a saggi, esperti, commissari, ecc.). Il tema NON è quello delle responsabilità individuali per le quali ci sono/sarebbero/saranno sedi giurisdizionali bensì quello delle responsabilità politiche (partiti, governi, industriali, sindacati, ecc.) e delle procedure politico-amministrative che – ad essere gentili – non hanno dato buona prova. Partire da qui significa compiere il primo passo per risanare e ricucire. NON servono, anzi, le commissioni di inchiesta: ci vogliono percorsi politici trasparenti.
  2. Il disastro del territorio e delle infrastrutture sono fratelli gemelli, perché implicano domande identiche. Eccole. Chi (cioè quali strutture) avrebbe dovuto stabilire un programma di vita degli impianti? Leggiamo che gran parte di ponti e viadotti sono già oltre il loro ciclo di vita: è in primo luogo un dato tecnico, noto dal momento della realizzazione dell’opera, a disposizione del  proprietario, del concessionario, delle autorità di vigilanza. E le concessioni cosa dicono a riguardo? In teoria dovrebbero dire tutte le stesse cose, stabilendo modalità e oneri per fare fronte, insomma, un po’ l’equivalente di quello che la banca chiede a ogni cittadino prima di fare con lui un contratto di mutuo (quanto guadagna, in quanti anni restituisce e così via). Quali sono le strutture tecniche in grado di controllare il rispetto delle scadenze e la dinamica dello stato dei manufatti; la regionalizzazione ha aiutato o ostacolato queste azioni? Quali sono le ragioni del blocco di tante opere: blocchi iniziali (opere nemmeno avviate), intermedi (opere a metà), finali (mancati collaudi). Ragioni giuridiche: tipo di contenziosi, problemi di procedure, fallimento delle imprese (perché falliscono? Sono mafiose e poi interdette? Sono fragili in partenza? Lo Stato non paga in tempo? Eccetera)
  3. Analisi dei tentativi precedenti di soluzione. Lo sblocco sembra il sarchiapone dei tempi attuali: tutti ne parlano ma nessuno sa come sia fatto. Che fine hanno fatto i decreti di sblocco o di accelerazione approvati in passato? E quando? Con quali responsabilità? Con procedure di stralcio o comunque eccezionali che ne è dei controlli? Si possono lasciare solo alla magistratura che quasi sempre mette i sigilli oppure (caso Ilva) si contraddice oppure ancora opera per diritto senza porsi il problema economico e tecnico? Temi aperti, anche di diritto da innovare sia nel merito (tensione tra diritto ed economia reale, bilanciamento dei diritti in campo) sia nelle procedure (sovrapposizione e logiche difformi tra giudizio civile, penale, amministrativo, contabile) con tanti saluti alla certezza, rapidità ed effettività del diritto (e della pena).

Lavoro non facile ma si tratta di partire da schemi che molti giornalisti già utilizzano per i loro articoli: attenzione.
Dico schema, perché poi i dati vanno forniti con la ufficialità e la accuratezza del caso. Non si dica che per questo ci vuole molto tempo: da anni (20?30? a me pare addirittura di più!) si dice che questa è la prima emergenza e che dalle scelte che ne potrebbero conseguire deriverebbero migliaia di posti di lavoro stabili e di qualità e in un Paese sano un notevole rilancio economico. E allora i dati ci sono: li si utilizzi in modo pubblico e trasparente.

Sarebbe una bella e buona riforma istituzionale, che non costa e che non tocca – anzi, attua – la Costituzione. Insomma, una riforma migliore dei tanti riformatori autoproclamati tali.
Forse è questo il motivo per cui la stiamo aspettando e invocando.