Un centrosinistra spaesato, a volte assente, con scarso coraggio, crasso, indolente, litigioso. Che palle!

Eppure il Paese esprime il bisogno di politica, possibile che non si riesca a cambiare? Una sinistra che non riesce a costituire una rappresentanza adeguata,

si infiamma su temi specifici o speciosi, di scarso interesse per i molti, come la riabilitazione di Craxi di questi giorni, i nuovi assetti del PD o la fissazione di dovere costruire una nuova sinistra alla sua sinistra.

Scrivo una provocazione, non esaustiva e incompleta, e già metto le mani avanti dicendo che le giustificazioni ci sono tutte, il mondo che cambia sotto i colpi delle innovazioni tecnologiche, la globalizzazione dell’economia con i suoi scompensi economici, la frammentazione sociale e la crisi della rappresentanza politica e sociale. Dopo di che?

Ciò che riguarda la vita reale sembra passare troppo spesso in secondo ordine, in un dibattito che appare inadeguato, tranne un solo tema, l’immigrazione su cui il centrosinistra ha paura di esprimersi nettamente e con coraggio per convenienze elettorali.
Eppure le cronache di tutti i giorni ci raccontano cose diverse, le disuguaglianze aumentano e la povertà relativa cresce, i giovani non trovano un lavoro retribuito adeguatamente e non mettono su famiglia, c’è il tema della casa e del caro-affitto, del lavoro discriminato per le donne e per i migranti, degli infortuni sul lavoro in aumento, delle periferie urbane abbandonate a sé stesse, della violenza contro le donne e quella di genere, della droga in pericoloso aumento tra le fasce giovanili e della dispersione scolastica, del Sud che arretra e si svuota, del territorio fragile che va in pezzi, dei pensionati in difficoltà economica e che non riescono a curarsi adeguatamente, della sanità pubblica in affanno, della evasione fiscale diffusa e dei controlli pressoché inesistenti, della criminalità mafiosa che permea l’economia e le istituzioni e … mi fermo. Noi dove stiamo?

Non è però che questi temi non siano presidiati, fortunatamente c’è la supplenza del volontariato sociale che ne discute e se ne occupa, la cosiddetta società civile.

E nella assenza e inconsistenza dei partiti al potere, nella confusione e nel trasformismo, nella frammentazione della rappresentanza politica nascono forze antisistema come M5Stelle, si alimenta il nazionalismo di Salvini e Meloni e, per nostra fortuna oggi, nuotano anche le Sardine.

Il tema è come mettere a comune denominatore le forze democratiche del centrosinistra e della sinistra e le loro proposte. Non che sappiano solo indicare soluzioni laddove le cose vanno bene di proprio, come nel modello Milano, quando è facile investire dove i soldi arrivano e alimentano anche bellezza e cultura, ma che si perde quando ci si allontana dalle cosiddette aree ZTL.

Se la soluzione è la degenerazione a cui stiamo assistendo da mesi, nel big bang che spinge a formare nuovi partiti, a frammentare gli stessi in piccole tribù legate a leaderismi più o meno forti, a chiedere un sistema elettorale proporzionale che ci porterà a contare ma dopo il voto, se va bene, ecco allora che siamo fritti.

Siamo noi, militanti nei partiti del centrosinistra e della sinistra, affetti da un morbo malsano che ci spinge a guardare solo nel nostro comodo giardino e a occuparci meno delle persone e più delle poltrone? A non sapere incontrare quei pezzi di società che non trova più rappresentanza e che ci illudiamo di recuperare (tornare nei territori)? A rappresentare solo i frammenti sociali di cui facciamo parte e a cui già parliamo? Spesso frammenti di classe media (come ci dicono i campioni di indagine) garantita nel lavoro, magari nel pubblico impiego, o nella pensione frutto di una fase economica positiva che pone su spalle più giovani il debito pubblico? La sensazione è che ci si parli tanto e troppo addosso, per inadeguatezza e per isolamento. Anche per questo ho smesso di frequentare le liturgie di partito pur facendone ancora parte. Eppure il Paese esprime il bisogno di politica, possibile che non si riesca a cambiare?