Cambiare la narrazione e pensare già adesso alla uscita dalla crisi sanitaria …

… non è solo un suggerimento ma appare come una necessità per tutti, per il Paese, per i cittadini, quale che sia la attività che conducono, per le forze politiche e per queste più che per qualsiasi altro soggetto.

Le nostre serate – forzatamente in casa – sono dominate dai “dibattiti” televisivi, ossessivamente concentrati sui bollettini sanitari e compulsivamente preda della “dichiarazionite” che progressivamente si prende lo spazio maggiore. Dato che i vizi antichi sono invincibili, a differenza dei virus, riprende la macchina infernale delle interviste a dirigenti politici che stanno riprendendo il vizio di accapigliarsi sul nulla, con la partecipazione entusiasta dei “giornalisti”, cui non sembra vero di tornare alle ben note tiritere su governissimi, ultimatum e così via.

E invece.

Come sempre, altre strade sono possibili. Proviamo a immaginarne qualcuna, a partire dallo scenario che sembra ragionevole tracciare. L’impegno strenuo del sistema sanitario italiano (medici, infermieri, amministratori, centri di ricerca, aziende) ci sta accompagnando verso il picco della malattia, dopo il quale – benché ancora tanto sia da fare e purtroppo tante siano anche le sofferenze e le difficoltà di tante persone – si tratterà di accompagnare il Paese verso l’uscita dall’emergenza sanitaria. Questo è lo scenario sul quale scommettere, senza nascondersi che lungo quella strada ci sono ancora tante difficili e costose scelte da compiere e politiche pubbliche da mettere in  moto: nessuna discesa ci aspetta ma ancora qualche ardua e impervia salita. Tuttavia il lavoro delle istituzioni sembra avviato, il governo pare avere in mano le redini, con le regioni c’è una trama robusta di collaborazione, tra i partiti sembra esserci un minimo di cooperazione.

Per queste ragioni, questo è il momento di avviare in parallelo la costruzione del post-emergenza  sanitaria. Preferisco definirlo in altro modo: avviare il programma di ricostruzione. Di questo si tratta: non per indulgere ancora nelle inascoltabili metafore belliche (la lotta, la guerra, gli eroi, e peggiore di tutti il Piano Marshall, che tutti citano senza averlo letto e pensando che in esso ci fossero solo i denari degli USA) ma per definire la strategia generale che è necessaria.

Dico di più. Proprio la profondità della crisi sanitaria, la fragilità sociale e psicologica della nostra società (stavo per dire civiltà) che ha messo in luce, i punti di forza e di debolezza che sono emersi anche oltre quanto ci si poteva aspettare, le implicazioni internazionali: insomma, tutti gli aspetti che abbiamo visto in evidenza in queste settimane richiamano alla necessità di uno sguardo lungo e di scelte lungimiranti, di progettazione di indirizzi economici, produttivi e di rapporti sociali, di relazioni istituzionali ed internazionali.

Se fossi il segretario di un partito, tanto più di un partito innovatore e – diciamolo – di sinistra, avrei già iniziato a parlare di “proposte per un piano di rinascita” e su questo metterei in campo  relazioni, incontri a tutto campo, e tutti gli strumenti per cambiare fase, nulla di meno.

Una rapida indicazione di alcuni punti salienti:

Le emergenze punteggiano la nostra vita quotidiana e lo faranno sempre più spesso, perché non è azzardato pensare che siamo dinanzi ad una serie di punti di rottura: il cambiamento climatico, la instabilità del territorio fisico, la sostenibilità sociale di modelli di vita e di lavoro non comunicanti tra loro, l’impatto delle nuove tecnologie e le straordinarie possibilità che aprono ma anche dei nuovi conflitti che ne sorgono, la incapacità di far affluire le risorse là dove servono e non solo là dove rendono, la costruzioni di sistemi di assicurazione sociale che accompagnino e rendano possibile la crescita sociale e non solo mitigare gli aspetti negativi.

Se, come dicono tutti gli osservatori (tranne la UE, almeno fino ad ora), siamo dinanzi ad una crisi dell’offerta che si cumula con una non risolta crisi della domanda, se non sappiamo bene con quali strumenti la crisi dell’offerta può essere fronteggiata, probabilmente occorrono scelte del tutto diverse da quelle ricorrenti in questi anni. Lo dicono anche Alesina e Gavazzi sul Corriere della Sera (11/3), figuriamoci noi. E allora va cambiata tutta la politica di bilancio: il problema non è avere il via preventivo dalla UE, il problema è che vanno fatte cose che la UE non si immagina ancora e che – questo sì può essere facilmente immaginato – dovrà farsi venire in mente rapidamente perché il virus scaverà anche negli altri Paesi europei, che stanno sulla linea temporale comune, come ha spiegato magistralmente Paolo Giordano. Sostegno al reddito, delle persone e delle imprese, in base – magari, per una ragione elementare di equità – a quanto negli ultimi re anni hanno dichiarato al fisco; sostegno agli investimenti, anche con linee innovative di intervento, dando vita a strumenti innovativi e tali da orientare verso impeghi virtuosi, sull’esempio dei PIR (superando i limiti già ben noti), degli incentivi a tempo anche per investimenti azionari che mobilitino il risparmio ancora molto diffuso ma improduttivo, con emissione di titoli con forme di garanzia statale e comunitaria.

Straordinaria sanità pubblica italiana: il modo giusto di riconoscere quanto è stato fatto (e si continuerà a fare) è rivoltare come un guanto le politiche degli ultimi anni, dalle tortuosità del rapporto con le strutture private alla articolazione del sistema formativo e concorsuale, alla retribuzione di medici ed infermieri, al tema del rapporto di lavoro, alla copertura del territorio nazionale, al rapporto tra rete ospedaliera e rete del territorio.

Riprendiamo il tema della formazione e della istruzione proprio partendo da ciò che insegna la crisi sanitaria attuale: abbiamo un sistema in grado di produrre i tecnici necessari nella quantità, nella qualità e nella diffusione necessarie? L’università 3+2 va bene da questo punto di vista (né si capisce quale altro possa essere il punto di vista da assumere, se non quello dei risultati concreti)? E poi, nel sistema pubblico e in quello privato (forse, in questo più che in quello) il valore di chi ci lavora, laureato o meno non importa, è adeguatamente riconosciuto e remunerato?

Le richieste di supercommissari di questi giorni sono o un modo laterale di tagliare l’erba sotto i piedi del governo oppure un ritornello finto efficientista. Le emergenze nazionali sono il primo compito del governo in carica, le forze politiche sono chiamate a contribuire che ne siano parte o meno con idee e proposte: governissimi e supercommissari sono invenzioni italiane senza paragoni al  mondo. Quindi smettiamola. Risolviamo invece i problemi della necessità di spesa e intervento rapidi, cioè della efficienza e della qualità delle strutture pubbliche sia quando devono operare sia quando devono controllare (v. vicenda delle concessioni e della debolezza delle strutture pubbliche di controllo e  verifica): incapacità e malversazioni non sono destino ineluttabile ma effetto diretto del depontenziamento delle strutture. Ridare prestigio alle funzioni pubbliche deve diventare un obiettivo primario, che possa dare sicurezza e garanzia a tutti i cittadini. Questa è la prima riforma istituzionale che serve con urgenza e non richiede nemmeno di cambiare la Costituzione ma solo di attuarla.

Si può fare altro, naturalmente: poteri di indirizzo e guida del Presidente del Consiglio, ruolo del Parlamento anche nelle emergenze (centralità del Parlamento non vuol dire gestione assembleare quotidiana ma strumenti di indirizzo e controllo, qualificazione strutture tecniche, qualità degli eletti). Certamente, a partire dal riesame del governo della sanità, riconsiderare il modello di governo del Paese tra centralismo e autonomie, perché non funziona nell’ordinario e ancora meno nelle emergenze. Razionalizzare le modalità di esercizio del voto: non è concepibile che in un anno ci siano tre, quattro scadenze elettorali tra Regioni, comuni, referendum e così via. Non solo concentrare in un solo giorno ma anche mettere fine all’assurdo che ogni Regione vota quando le pare, che la vita degli enti si interrompa perché un sindaco se ne è andato (quali che ne siano le ragioni) e così via per tutte le motivazioni in base alle quali le elezioni – e le tentazioni elettoralistiche connesse – sono l’unica vera incombenza del sistema politico.

Vasto programma? Certamente, ma solo perché sono enormi i problemi. Programma completo? Certamente no, è un primo elenco scritto di getto: ad esempio, mancano riferimenti al quadro europeo e mondiale. Programma “per un uomo solo”? nemmeno per sogno: un programma di lavoro per un lavoro aperto. Però, non la base per appelli unitari di emergenza: un programma per un soggetto (che poi sia un partito, una coalizione, un rassemblement, lo si vedrà) che si candidi a governare, per cambiare e per ricostruire.

1 thought on “Cambiare la narrazione e pensare già adesso alla uscita dalla crisi sanitaria …

  1. sono d’accordo con alessandro nel ripensare il sistema istituzionale
    ripensare il sistema sanitario del sud e la sua inefficienza.

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