Lo stadio e la città

Le città saranno ancora il perno nelle fasi dopo la pandemia, ma ci vuole un nuovo punto di vista. In ogni momento occorre saper rispondere a due domande che non si conciliano facilmente tra loro:

quali priorità nel momento presente e quindi cosa serve adesso? Dove voglio andare e quindi cosa mi servirà domani?

La difficoltà – e il fascino – della politica sta tutto qui, nella tensione tra i due momenti e nella capacità di tenerli in equilibrio, combinando principi, valori, obiettivi, risorse e partecipazione.

Da quando è esplosa l’emergenza sanitaria si sono pronunciate migliaia di parole, spesso altisonanti, per dire che andava ripensato molto del modello di sviluppo, così intrusivo delle complesse e delicate dinamiche del vivente del pianeta. Preciso che dico “vivente” proprio per segnalare la interdipendenza tra tutti gli organismi viventi in esso, concetto un po’ più ampio del “semplice” rapporto uomo-natura. E una delle forme della intrusione è la concentrazione di funzioni e di persone in luoghi che andrebbero invece alleggeriti: qualcuno è arrivato a sostenere che si dovrebbe rinunciare alle città per rifluire nei borghi ma la nostra epoca è piena anche di utopie reazionarie, per lo più sostenute da chi ha redditi superiori, peraltro accumulati nelle e grazie alle vituperate città.

Le città invece sono probabilmente meno energivore, facendo un completo bilancio energetico, offrono incomparabili opportunità, liberano da forme inaccettabili di controllo sociale, sono il segno, non un segno, dell’incivilimento, avrebbe detto il grande milanese Cattaneo.

Cosa serve alle città? Cosa serve a Milano? Avrei pochi dubbi: ampie parti da ristrutturare, ampie situazioni da ricostruire, fisicamente, socialmente, civilmente. Questa amministrazione aveva posto le periferie (uso un termine che non soddisfa solo per brevità) come uno dei due grandi progetti strategici (l’altro era la proiezione nel mondo e il marketing urbano). Non so se è il momento per fare un parziale bilancio, è certo che l’emergenza sanitaria chiede di ripensare dall’inizio entrambi i progetti.

Città in cui in 15 minuti si abbiano a portata di mano i servizi fondamentali; città in cui la vita possa scorrere più fluidamente e in modo più sostenibile; città in cui cessi lo sfrenato consumo di suolo; città in cui crescano le opportunità su tutti i piani; città in cui si intervenga sulle distanze e le polarizzazioni sociali in continua crescita. E’ già stato detto dalla Giunta ed è un bene. Cominciamo a dire anche, però, che bisogna fare in modo che a Milano tornino a vivere giovani, giovani coppie, redditi medi ed anche minori: tanti sono scappati da Milano perché non se la potevano più permettere e questo è un problema da riprendere da capo.

I programmi di riqualificazione urbana sono ampiamente noti e rappresentano una grande opportunità per Milano, anche se andrebbe fatta una valutazione in termini di impatto arricchita dalla esperienza e dagli insegnamenti della emergenza sanitaria, proprio perché essa non è solo sanitaria, nelle sue cause e nei suoi effetti. Di questi progetti fa parte anche lo stadio di San Siro?

Anche se la Soprintendenza dice che può essere abbattuto, non è superato il problema iniziale: di che tipo di esigenza si tratta? Lo stadio è fin troppo grande per il pubblico che attira e che attirerà nel prossimo futuro e anzi i problemi di gestione hanno origine molto più nelle opere di ampliamento per il funesto 1990 (vero anno dolente per gli stadi in Italia e non solo) che in insufficienze dell’impianto.

Appare invece prevalente l’aspetto finanziario: i nuovi padroni di Milan e Inter hanno accumulato serie esposizioni finanziarie, non ripagate dal blasone delle squadre e dai risultati attesi. Quale via migliore di recuperare – meglio ancora guadagnandoci – della vecchia e sempreverde strada della costruzione di tanto terziario?

Però a Milano ce n’è tanto, tantissimo e sarebbe opportuno discutere dei nuovi insediamenti solo in base al censimento dei palazzi vuoti: o la economia circolare riguarda solo gli interstizi? Ci sono intere vie, tante aree nelle quali stabili, negozi, alloggi sfitti e vuoti da tempo sono ormai brutti denti cariati nel panorama urbano. Inoltre, sono patrimoni iscritti nei bilanci per valori oggi improponibili e questo costringe i proprietari a non svalutarli (il rating tiranno! le trimestrali!) oppure a pretendere affitti insostenibili (e il commercio chiude). Si chiama bolla anche questa: e sarebbe meritoria una amministrazione che si proponesse di sgonfiarla prima che scoppi. Per ora sta scoppiando in faccia a bar e ristoranti, studi professionali e inquilini.

Spingiamo a riqualificare il costruito, facilitiamo il cambio di destinazione degli stabili, riconvertiamo ad uso collettivo e/o pubblico strutture private obsolete nella funzione ma non nella struttura: la crisi dei grandi centri commerciali non mette a disposizione per usi diversi strutture enormi difficili da collocare? Non ci sarebbe un interesse convergente tra proprietà e Amministrazione? Oso insinuare: al posto dei posti letto in Fiera? Per nuove strutture sanitarie e di assistenza diffusa per rispondere ai bisogni colpevolmente inevasi durante l’epidemia? Un piano di questa natura aiuterebbe banche e altre grandi proprietà a dare nuova vita a patrimonio congelati, farebbe abbassare sensibilmente il livello di affitti insostenibili, metterebbe in circolo nuova linfa economica e di attività di impresa.

In questa riflessione e per un ripensamento generale va collocato il tema dello stadio.  Non appare interesse primario del Comune, non appare urgenza finanziaria del settore: certamente è un interesse primario di due importanti fondi finanziari. E’sufficiente per procedere?

Parrebbe di no. Oppure, solo con un vigoroso cambiamento di approccio: intorno a San Siro c’è un enorme quartiere totalmente da riqualificare, secondo molti da distruggere e ricostruire: quella è una priorità per il Comune e soprattutto per chi abita in quelle case, nelle quali i due mesi di quarantena devono esser stati, quelli sì, una galera. I gruppi che vogliono fare San Siro 2 sono disponibili a rifare il quartiere di San Siro? Allora si può anche fare un’opera non prioritaria perché sulla bilancia si metterebbe la soluzione di un problema aperto da 50 anni. Non male.