Covid batte Greta 7 a 1, ma lo stato di salute della Terra continua a peggiorare.

I fondi messi a disposizione dall’Europa possono trovare indirizzi di spesa se bene orientati, creando lavoro e occupazione verso la riconversione green. Ci sono le idee chiare sulle priorità dei progetti da realizzare?

Così Pagnoncelli di Ipsos in un recente sondaggio «Una paura scaccia l’altra … il 78% degli italiani ritiene più grave il problema relativo all’occupazione e alla ripresa economica, seguono il welfare (41%) e il funzionamento delle istituzioni (35%). Il coronavirus scende dal primo al quarto posto (34%), ultime posizioni: immigrazione (14%), sicurezza (13%), ambiente (8%) e mobilità (1%)».

Ecco che l’ambiente torna a essere la cenerentola nel dibattito pubblico, quando solo a fine 2019, grazie alla sensibilizzazione del #fridayforfuture e del suo movimento superava la soglia del 50% e il degrado del Pianeta Terra era argomento che spopolava nei notiziari e sui social media.
Ma lo stato del pianeta non è cambiato: smog, anidride carbonica, degrado delle aree verdi e deforestazione, inquinamento delle acque, attività industriali e agricole intensive, cementificazione e dissesto idrogeologico, innalzamento della temperatura terrestre (dalla fine del Novecento ad oggi la temperatura terrestre è salita di circa 7 gradi e gli accordi di Parigi puntano a fermarla).

Eppure alcuni sostengono che la ripresa dal lockdown richiede l’abbandono delle misure green per via dei costi.  Al contrario, non c’è tempo da perdere, serve coniugare la ripresa indirizzando la produzione e i consumi se non vogliamo lasciare alle future generazioni una pattumiera.

Ha fatto notizia come il blocco della produzione e della circolazione durante il lockdown abbia abbattuto i livelli di inquinamento, ma il risultato è che si è riaperta la discussione su chi inquina di più o di meno, sulle misure da adottare e in definitiva, la pecunia, su chi devono ricadere i costi delle politiche ambientali.  Osservato speciale il PM10, che a marzo ha seminato incertezza perché, nonostante il lockdown, ha avuto un andamento variabile a dimostrazione che le cause sono molteplici e non solo da traffico (ad esempio a fine marzo per due giorni c’è stato un afflusso di polveri che le correnti gelide dell’area balcanica hanno pescato dalla zona del Mar Caspio per riversarla con le correnti di Bora sulla nostra pianura).

Quindi riduzione del biossido di azoto (NO2) e del benzene da traffico veicolare. Ma adesso che è ripreso, quali le misure da adottare in tempi di distanziamento sociale Covid, dove il mezzo pubblico viene penalizzato? E dove l’utilizzo di bici e/o mobilità dolce non potranno avere dimensioni tali da cambiare le modalità di trasporto collettivo? Nelle realtà urbane potrà certo salire, ma non di molto rispetto ai 10-15% attuali, a seconda delle città, nonostante il grande impegno che sta nascendo sulla realizzazione delle ciclabili e l’incentivazione fiscale. Non dimentichiamo che, dati ISTAT, il traffico privato su quattro ruote supera il 65%.

Intanto gli autotrasportatori, dopo i dati emersi dal lockdown, hanno messo le mani avanti puntando il dito sul riscaldamento domestico, sostenendo innanzitutto di essere stati vittime di pregiudizio ideologico e evidenziando come il loro settore abbia compiuto passi da gigante in termini di abbattimento delle emissioni, con una diminuzione del 35,3% dal 1995 al 2017 e che le attuali limitazioni tecnologiche (potenza dei motori) non consentono una completa decarbonizzazione del comparto.

Perciò dito puntato sul riscaldamento domestico e non domestico, l’altro grande accusato (in particolare in Lombardia è il 25% la combustione a legna e pellet, nonostante quest’ultimo sia incentivato come  fonte rinnovabile). Riscaldamento domestico, che ha un’incidenza sul totale delle emissioni di CO2 in ambito urbano fino a 6 volte in più rispetto all’incidenza del traffico veicolare (nelle grandi città può rappresentare anche il 60% contro il 11% della mobilità e il 25% delle attività industriali).

Quindi occorre agire sulla decarbonizzazione, con particolare riferimento alla rottamazione dei veicoli più inquinanti, in Italia sono più di 1/3 dei circa 40 milioni circolanti.
Ovviamente la soluzione all’inquinamento non può essere solo dal lato del controllo dei combustibili ma deve passare anche dalla qualità delle costruzioni. Bene gli incentivi fiscali del Governo che favoriscono il miglioramento di classe energetica, ma può essere pensato solo incentivando il privato? Ad esempio le ERP (edilizia residenziale pubblica) rappresentano circa il 5% delle abitazioni, per la maggior parte molto datate e con scarso o nullo coefficiente energetico; non sarebbe anche uno stimolo a rimettere mano al bisogno di casa evitando la speculazione del privato? E tutti gli immobili di proprietà istituzionale? Lo Stato farà investimenti in questa direzione?

Un altro grande accusato dell’inquinamento globale è la plastica che si trova ovunque, è una invasione, sulla superficie di mari e oceani, sulle montagne (la quantità di immondizia che rimane sull’Everest, meta turistica e sportiva, è stimata a circa 132 tonnellate ogni anno), nei fondali marini (anche nella Fossa delle Marianne a 11mila metri), sulle coste di isole remote, anche nel nostro corpo (uno studio inglese sostiene che entrano 114 fibre di plastica in media durante ogni pasto ma negli ambienti domestici sono presenti innumerevoli quantità di fibre microplastiche). Procediamo sul cammino virtuoso dell’economia circolare ponendo al primo posto l’obiettivo del corretto recupero e riutilizzo dei materiali? (Ogni anno per ogni persona presente sulla Terra vengono messi in commercio 50 chili di plastica; della plastica che non ci serve più, l’Europa più virtuosa ha un tasso di riciclo del 40% ma solo circa il 10% viene riciclato a livello mondiale).
Oggi, con il Covid, abbiamo una emergenza mondiale in più, quella di guanti e mascherine. Secondo calcoli della rivista Focus se anche solo l’1% delle mascherine non venisse smaltito correttamente, e magari disperso in natura, si tradurrebbe in 5 milioni di guanti e 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente.

Le persone possono anche dimenticarsi della scala di gravità dei pericoli per la salute, ma la politica non può farlo, ha la responsabilità delle scelte di conservazione della vita sul nostro pianeta.

I fondi messi a disposizione dall’Europa quindi possono trovare indirizzi di spesa se bene orientati, creando lavoro e occupazione verso la riconversione green.
Il grande interrogativo è: ci sono le idee chiare sulle priorità dei progetti da realizzare? Qualche dubbio mi è venuto dopo avere sentito le dichiarazioni di Conte. Con tutto quello che si deve fare, la priorità nella discussione riparte dal Ponte sullo Stretto di Messina?