Milano sostenibile, però equa e solidale. Seconda parte: gli spostamenti

Entro gli spostamenti, occorre fare una netta distinzione fra gli spostamenti a breve e a medio lungo raggio: ma “breve” e “medio” non è la stessa cosa per una ragazza o per un anziano non troppo in salute.

[Questo testo presuppone il precedente “SCELTE SUL TERRITORIO” https://www.contropiede.eu/2020/06/01/milano-sostenibile-pero-equa-e-solidale-scelte-sul-territorio/

Per i metodi di spostamento, consideriamo tre classi: 1 mobilità dolce, 2 trasporto pubblico locale, 3 mobilità individuale motorizzata. Tutti concordiamo, credo, che esse vanno dalla più alla meno desiderabile, e che bisogna incentivare la migrazione da tre a due e da due ad uno. Ma ci sono limiti nei fatti: la “mobilità dolce” è la risposta giusta per gli spostamenti soggettivamente “brevi”, non ha senso per quelli “a medio lungo”. [Ciò che trovo irritante nel “partito della bicicletta” non è l’amore per la bicicletta, che condivido e ho praticato in passato, è il proporre solo questo tipo di soluzione. Del resto essi per primi si pongono l’obbiettivo di raggiungere una quota di mobilità dolce pari al …. 30% !!! Giusto, ma al restante 70, cosa diciamo ??? “arrangiatevi!” non è una risposta accettabile].  

Occorre lavorare per spingere verso il TPL sia dal lato dell’offerta (capacità di trasporto) che della domanda (attrattività). ATM dichiara che, con le nuove regole e i mezzi attuali  potrà garantire al massimo il 25 – 30% dei passeggeri abituali. La frequenza dei mezzi è, credo, al massimo tecnico in MM, potrebbe essere aumentata in superficie ma con costi di gestione difficili da sopportare. Serve quindi

  • un grande piano di investimenti (essenzialmente sui mezzi) che, a parità di frequenza, ne aumenti la capacità (la foto che ho scelto non è casuale).

Lasciando correre le cose, con qualche pista ciclabile “tattica” in più, l’auto (al meglio, la moto) diventerà la scelta naturale per molti. Anche qui, invece, serve un approccio coraggioso e radicale. Partiamo da una netta distinzione fra le strade “di trasferimento” fra quartieri, radiali e circolari e le strade “di viabilità locale”. Sulle prime ci si proponga di favorire lo scorrimento continuo dei mezzi (pubblici e privati) a bassa velocità (in idraulica si parla di flusso laminare).

  • fissare la velocità massima a 20 km/ora,
  • controllandola ininterrottamente con un sistema completo di telecamere.

Funziona, l’esempio di cavalcavia Monteceneri lo dimostra: è la certezza della pena che rende efficace la regola. I 20 km sono necessari per rendere possibile la compresenza di biciclette, mezzi pubblici, auto e moto individuali. Disegnarvi sopra “piste ciclabili” è sbagliato: se una risorsa scarsa (lo spazio) viene suddivisa in due sottospecie separate (spazio per bici, spazio per il resto) se ne consuma di più per ottenere lo stesso livello di servizio. [Gli esempi esteri sono comparabili solo in parte].

La velocità media di trasferimento non verrebbe penalizzata da questo indirizzo: già oggi pare che sia notevolmente più bassa. Dovrebbero invece essere penalizzate le intersezioni fra viabilità locale e viabilità di trasferimento,

  • riducendo le intersezioni e
  • con una adeguata gestione dei tempi semaforici,
  • da rendere variabili secondo le ore della giornata e le condizioni di traffico

In pratica, si renderebbero i quartieri meno “attraversabili”, a vantaggio degli abitanti, che potrebbero accettare un’unica probabile coda di immissione sulla “via di trasferimento”.

Sulle vie di trasferimento, bisogna essere chiari: sosta niente.

  • divieto assoluto di sosta sulle vie di trasferimento
  • compensando con stanziamenti appositi i commercianti penalizzati
  • sulla base di dati oggettivi, misurabili

“Ma, se si rende più fluida la circolazione, si rende più appetibile l’uso del mezzo individuale, mentre si vorrebbe scoraggiarlo”. Io preferisco dire: “limitarlo ai casi di effettiva necessità”. Una cosa sono gli utenti che hanno necessità di recarsi in diverse destinazioni nella stessa giornata, altra coloro che hanno una sola destinazione. Si deve permettere ai primi l’uso della città, scoraggiare i secondi con un adeguata regolamentazione della sosta:

  • sosta a pagamento in tutta la zona centrale (cerchia 90 – 91)
  • tariffa leggera per la prima ora, poi crescente esponenzialmente
  • sconti per i residenti, ma non più gratuità

Preferiamo alcuni mezzi rispetto ad altri: moto invece di auto, se non altro perché congestionano meno, mezzi elettrici, ecc

  • tariffe differenziate per la sosta

Infine, le bici, e soprattutto, chi potrebbe andare in bici. Cominciamo col dire che non tutti sono uguali: chi lavora nel front office non è come chi lavora nel back office, non facciamo i talebani. Poi:

  • obbligo di predisporre “spogliatoi” e rimessaggi per tutti i centri di lavoro sopra “n” unità presenti. L’obbligo c’è per i pasti, gli spogliatoi li hanno palesrtre e piscine, possono ben averli anche le sedi delle banche.
  • finanziamento per facilitare la nascita di rimessaaggi pubblici.

Spero che tutto questo porti ad una distribuzione equilibrata dei sacrifici, per ricchi e meno, per milanesi del centro e della periferia o dell’hinterland, per giovani e anziani e anche per la collettività nazionale (per i fondi necessari). Non mi sento “lumbard” ma riconoscere che Milano ha problemi di inquinamento diversi da Palermo non è egoismo localistico.
Faccio proposte forti, tutte da approfondire, forse non tutte realizzabili subito, sono possibili obbiezioni di merito. Però la vera domanda è: c’è la volontà politica di cambiare, o siamo solo alla politica “tattica”?