Decisioni per miliardi e far ripartire il Paese: questa è la prova per cambiare e non solo ripartire

55 miliardi in Parlamento con il decreto, oltre 150 dalla UE: è il momento della serietà, delle politiche di nuovo sviluppo economico e sociale, non di bonus e compensi a gruppi di pressione.

Parlamento e Governo alla prova, finisce il tempo delle parole, dei canti e delle promesse. In Parlamento sta per iniziare la discussione sul decreto dei 55 miliardi, imponente per il volume di risorse, per la lunghezza del testo a suon di centinaia di pagine, per la complessità del travaglio e del parto, per la ampiezza delle materie su cui interviene.

  1. 55 miliardi sono una cifra pari a due/tre finanziarie di quelle abituali e rendono l’idea dello sforzo che viene richiesto per uscire dalla crisi. Al tempo stesso va detto chiaramente che questi soldi non ci sono, è una operazione tutta in debito possibile a due condizioni, che ci sia la UE che mette quanto necessario – e lo sta facendo – e che tutti siano consapevoli che ripagare questa montagna di soldi in prestito vuol dire che tutti noi saremo chiamati ad un impegno straordinario. Tutti noi, non qualcuno sì, altri no, parecchi forse. E che al centro di questo impegno deve essere messo il lavoro, non la rendita, i superprofitti e i sussidi: cioè chi non produce ma lucra, chi si appropria della ricchezza anche – ma non solo – non pagando le tasse, chi aspetta e chiede il bonus o il reddit(in)o garantito. Su questo piano ecco la prima sensazione di disagio: tanti soldi senza una linea di sviluppo, di politica industriale, di Patto per la Ricostruzione, e invece ancora bonus, sussidi macro e micro, voucher e avanti con i prodotti della ennesima e sempiterna politica democristiana (una volta si chiamava clientelismo, adesso si chiama politica per le famiglie o per le categorie). E infatti cresce il senso di accumulo di tutti i provvedimenti, tanto che ci si chiede se e quanto siano coerenti, non ripetitivi, non sovrapposti (esempio: il supersconto sui lavori energetici che darà più di quanto si spende)
  2. Norme con troppe parole, incomprensibili, più attente al rischio di lasciare il buchetto per il ricorso e alla copertura della struttura (sai mai, la Corte dei Conti) che alla praticabilità delle misure e della loro capacità di arrivare alle desiderate tasche dei cittadini e delle  imprese. Non servono più parole o appelli: bisogna cambiare in concreto. Certo che 8000 emendamenti due terzi dei quali (dice la stampa) della maggioranza non aiutano a chiarire.
  3. Un grande risultato sulla questione degli immigrati e il processo di regolarizzazione, merito dei ministri Bellanova, Provenzano, Lamorgese (è giusto ricordarne i nomi) e di quella parte dei 5stelle – Catalfo, Fico – che ha mantenuto il senso della civiltà e non solo dell’utilità: ma tra sei mesi che succede? E dove vivranno da adesso? E l’agricoltura o l’assistenza agli anziani nelle loro case “scadono” insieme al permesso di soggiorno? Una bella toppa è certamente bella ma non è certamente meno toppa. Sistemato il problema degli esami nelle scuole (si fa per dire) rimane il “piccolo” problema che metà degli studenti non è in grado di seguire lezioni via web (un…bonus computer? E poi come la mettiamo con la banda larga e il wifi?). Per carità di patria non citiamo l’idea singolare del plexiglas che separa i bambini: nella patria di Montessori e del maestro Manzi siamo a questo punto? E dobbiamo tornare indietro di un secolo o di 50 anni per citare due educatori veri?
  4. Tanti campi di intervento perché tanti sono i problemi e le difficoltà, non c’è dubbio. Però…ogni giorno che passa ci rendiamo conto che il virus ha amplificato le difficoltà già esistenti e le porta al limite: un  tessuto produttivo liso e divaricato tra settori di rilievo internazionale e sacche enormi di arretratezza tecnologica, organizzativa e merceologica; una formazione professionale ed un sistema della istruzione anch’essi polarizzati ai due estremi; un tessuto sociale slabbrato con aree di deprivazione e marginalità che nemmeno si conosce (quanti milioni sono gli italiani che lavorano al filo e oltre della legalità e così sono improvvisamente senza alcuna risorsa? e sono diversi e in condizioni peggiori di chi lavora in nero, che poi va aggiunto). L’elenco potrebbe essere lunghissimo: aggiungiamo il doloroso tema del non sapere chi e quanti cittadini italiani (e non italiani ma qui residenti e attivi) hanno davvero ridotto il loro reddito in questi mesi o lo ridurranno in quelli prossimi. E allora? Chi comincia a discutere delle priorità? Quando? Dove? Alcuni giornali, alcuni ricercatori, alcuni centri di ricerca sembra lo stiano facendo. Pochi, comunque, e soprattutto non compare nessuna struttura politica, movimento, partito o si chiami come gli pare, un qualsiasi strumento capace di creare partecipazione e perfino passione.
  5. La discussione sul decreto e la sua conversione si intrecciano con gli sviluppi davvero straordinari dei provvedimenti della UE. Francamente, sono lontane anni luce le discussioni sulla Europa matrigna: gli assi della politica finanziaria e di bilancio sono stati uno dopo l’altro smantellati e semmai oggi si tratta di gestire con accortezza e intelligenza politica il passaggio a nuove regole europee che più che mai coincidono con la possibilità di avviare la UE su una strada nuova e migliore. Il primo passo è avere un programma: dov’è? E dove è la discussione pubblica per elaborarlo? Quali soggetti partecipano e come? non lobbies, quelle sono note e agguerrite. Abbiamo invece bonus a ripetizione, ognuno dei quali pretende a gran voce la sua estensione, la sua clonazione, la sua moltiplicazione all’infinito. E dato che le micro categorie, le nicchie, le speciali condizioni sono anch’esse moltiplicabili all’infinito, il ciuffo d’erba diventa giungla.
  6. Era un serio errore dall’inizio, cui nessuno si è sottratto, anzi tutti (e non sempre a rotazione) sono paladini di cause o gruppi più o meno rappresentativi, meglio se resi più nobili da una spruzzata di ecologismo o altra voce di correttezza politica. Da questa logica perversa nascono le migliaia di emendamenti. Più di 150 miliardi di euro (la cifra oscilla) non possono diventare il serbatoio di bonus: insieme alla affidabilità dei programmi, anche questa sarà una prova di affidabilità del nostro Paese, perché non c’è bisogno di olandesi per pretendere governi seri e rigorosi, politiche e politici capaci di tracciare e guidare l’interesse nazionale. Per pretendere questa serietà, dovrebbero bastare i cittadini italiani o almeno una loro maggioranza.
  7. Invece di una singolare discussione su Stati più o meno generali – pura forma per i telegiornali: del resto, se comanda Casalino invece di, che so, Fabrizio Barca, cosa ti vuoi aspettare? – vorremmo una discussione anche molto dura ma su tempi, modi, orientamenti, di programmi cadenzati nel tempo, definiti negli obbiettivi, nei vantaggi, nei costi a breve e a lungo termine, insomma programmazione e responsabilità. Non vorremmo restare in attesa delle cavallette (virus già pervenuto, terremoti siamo abbonati, mareggiate e tracimazione di fiumi sono ordinaria amministrazione) per avere risultati migliori.