Sono 30 anni dalla prima legge sulle Città Metropolitane. Intanto a Milano si rivota, cosa proporrà il centrosinistra?

Cosa è cambiato nel concreto in questi ultimi anni? Hanno rappresentato le istanze di modernizzazione e di innovazione del Sistema Paese che molti si auspicavano?

Ricorrono in questi giorni i 30 anni dalla prima legge “Ordinamento delle autonomie locali” che parlò di Città Metropolitane (8 giugno 1990 Legge 142, capitolo VI, art. 19 per le sue funzioni).
Ad essa si sono susseguite altre leggi, fino ad arrivare alla più nota Legge Delrio, la n. 56 del 7/04/2014, che ha portato alla costituzione di 10 CM, tra cui Milano, nelle Regioni a statuto ordinario e 4 in quelle a statuto speciale; che ha rappresentato la prima innovazione vera dopo anni di buoni propositi e che avrebbe dovuto costituire la premessa per una nuova riforma del Titolo V della Costituzione, ma a cui la bocciatura del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 (quello di Renzi), ha tagliato le gambe.

La demografia per gli anni a venire nel mondo assegna alle Città metropolitane un ruolo di rilievo, evocando una suggestiva immagine di città-stato. Le Città Metropolitane in Italia costituiscono circa 1/3 dei cittadini italiani e 1/3 del PIL: rappresentano, e quanto, quelle istanze di modernizzazione e di innovazione del Sistema Paese che molti si auspicavano? Cosa è cambiato nel concreto? Sicuramente la cessazione della Provincia come ente autonomo di primo livello e la costituzione di un Consiglio Metropolitano attraverso una elezione indiretta (elemento che costituisce una debolezza) e il cui sindaco è lo stesso di quello del capoluogo, che insieme presiedono la Conferenza Metropolitana dei sindaci.
Per Milano? C’è in molti la percezione del distacco tra Milano città e la sua Area Metropolitana che ha deluso le aspettative di chi immaginava maggiore coesione, progettualità e novità istituzionali.
È luogo comune dire che i milanesi percepiscono Milano come un corpo a sé, che termina alla vecchia cinta del dazio (la gabella che gravava sulle merci che entravano in città e simbolo di protezionismo). Un contesto urbano diverso per mentalità, cultura, ricchezza e che custodisce gelosamente la propria identità.
Anche la sua cintura suburbana è gelosa di sé e della propria autonomia, ma nel contempo può essere un luogo prigioniero del suo provincialismo, con aspetti di arretratezza sociale, culturale, conformismo e conservazione.
C’è quindi il rischio di perpetuare un modello antagonista, la città contro le periferie, persone che marcano le differenze anziché costruire progetti comuni, il contrario di quello che presuppone la costituzione di una città metropolitana, pensata come un tipo di governo del territorio e della sua comunità più equilibrato e coordinato.
La Milano dei grattacieli, della moda e della borsa si scontra infatti con il maggiore divario sociale, il costo della vita troppo alto (una persona su sette vive sotto la soglia di povertà), il traffico e l’inquinamento, un luogo di maggiori opportunità ma difficile da vivere, con l’esclusione e l’espulsione di molti suoi cittadini.
La cintura metropolitana di contro vive il disagio di essere pensata solo come un luogo a servizio della grande città, punto di rifornimento di cibo e manodopera, dove ci sono gli aeroporti, le tangenziali, le logistiche, gli ipermercati, anche se molto ricca di verde e natura che mancano alla città, che la percepisce come meta utile per qualche sgambata fuori porta durante gli weekend.
Si potrebbe obiettare che assistiamo a un processo inevitabile, come accade nelle grandi metropoli; ma deve essere così necessariamente?

In alternativa, Milano può pensarsi come una città vasta, che allunga i suoi tentacoli verso l’esterno, dove sviluppo, mobilità, scuola e istruzione, sanità e ricerca, giustizia, sport, cultura sono le braccia di uno sviluppo ordinato e diffuso, che può mettere in connessione i suoi 3 milioni e 400.000 abitanti per 134 Comuni, il centro e le periferie nell’interesse comune? A chi tocca la prima mossa? Milano saprebbe rinunciare a qualcosa per integrarsi maggiormente con il suo territorio?

Il rischio è che senza una nuova progettualità Milano paghi per l’inconsistenza delle decisioni politiche, mentre la pianificazione territoriale viene pensata solo nei luoghi ristretti del potere finanziario, dove le ragioni economiche sono spesso le sole a guidare lo sviluppo, che non si cura di essere ordinato ma solo redditizio.
Come sono state pianificate e decise le scelte più importanti degli ultimi decenni, tangenziali, autostrade, ferrovie, aeroporti, insediamenti residenziali e industriali, servizi pubblici e privati? Ha deciso la politica o solo l’economia privata a cui fa comodo una politica debole, assente o consenziente?

Porto per comodità un esempio. Le ultime scelte strategiche pre-Covid del 2019 hanno riguardato il Decreto Genova con la costituzione della Zona Logistica Semplificata del porto, che in realtà si estende a tutte le attività connesse nei territori coinvolti; e la ripartenza del Ponte Morandi dovrebbe ridare impulso al progetto di realizzazione e di rafforzamento del Corridoio europeo Genova-Rotterdam, che passando per Milano attende la fine del terzo Valico dei Giovi. Può essere una occasione di sviluppo se bene governata, al contrario un problema se subìta. Ci sono interessi miliardari, dove chi si muove sono le multinazionali e i fondi di investimento (più spesso stranieri) del trasporto, della logistica, delle costruzioni, della produzione industriale, che porteranno alla trasformazione di interi territori, probabilmente come spesso è accaduto senza porsi troppi problemi di uno sviluppo equilibrato. Quale ruolo intendono esercitare Milano e la Città Metropolitana su questa partita? Sedersi ai tavoli di concertazione e determinare quale sarà il proprio lo sviluppo legato a queste scelte oppure andare tutti in ordine sparso e subire lo svolgersi degli eventi? Perché poi accade che le conseguenze negative le deve affrontare la politica quando ormai si trova con le mani legate.

Il 2021 è alle porte, già si sente nell’aria il fermento delle elezioni, spero che il candidato sindaco di Milano nel suo programma parli anche dei progetti di sviluppo che ha in testa per la Città Metropolitana. Il suo territorio è grande come altrettanto grande è la responsabilità di Milano verso la sua periferia e dopo dieci anni, pur con bravi sindaci, il centrosinistra rischia di lasciare scarse tracce su queste tematiche.
Non possiamo accontentarci di fare bella solo Milano, con la riqualificazione delle sue aree e la romantica riapertura dei Navigli. Anche l’area metropolitana ha fame di piani di recupero e di aiuti, da sola non ce la può fare.