Chi abita a Segrate vale quanto un milanese?

Milano soffre per avere addensato al centro troppe funzioni. Da questo derivano in buona parte la sua congestione e l’inquinamento da traffico. Questa inefficienza, da sempre fastidiosa, diventa insopportabile in tempi di COVID-19. Ma oggi anche le istituzioni concorrono a questa distorsione.

Per l’area di Milano c’è assoluto bisogno di uso equilibrato ed efficiente di tutti i tempi e gli spazi. COVID, inoltre, ci impone di evitare gli affollamenti e i picchi di traffico che il trasporto pubblico non sarebbe in grado di smaltire in condizioni di sicurezza. Ci vorrebbe una radicale azione di decentramento di tutte le funzioni critiche, che attraggono flussi di persone.

Come tutte le “rivoluzioni”, è un’azione complessa, che si scontra con un’infinità di piccoli e grandi interessi costituiti, abitudini e difficoltà e richiede quindi una grande determinazione e coraggio politico per essere realizzata. I cittadini dell’area comunale ne avrebbero benefici a lungo termine, ma fastidi nel breve. Non è certo che la appoggerebbero.

Addirittura, si percepiscono atteggiamenti di egoismo localistico, “parrocchiale”: parrebbe gradita la assurda proposta di far pagare una “tassa d’ingresso” a chi entra nel territorio comunale (senza chiedersi perché entra, quali alternative ha, ecc, ecc). Chiaramente, in questo caso come in molti altri, desideri e interessi degli abitanti dell’hinterland non coincidono con quelli dei residenti nel comune centrale e soprattutto dei loro ceti dirigenti, normalmente più vecchi, più ricchi, più “conservatori” anche quando ostentano pretesa “modernità” e “internazionalità”.

Vedere le cose in modo oggettivo è compito delle politica, orientata all’ascolto di tutti gli elettori in modo equanime. Ma proprio qui abbiamo sancito nelle istituzioni una diseguaglianza inaccettabile: la pessima legge Del Rio, che istituì molto male le Città Metropolitane, sancisce che, normalmente, sindaco delle città metropolitana sia il sindaco del comune capoluogo, eletto dagli elettori del comune capoluogo e, comprensibilmente, ben poco incline a scontentarli per occuparsi dei bisogni dei residenti fuori comune.

Eppure, persino la legge Del Rio prevedrebbe una possibilità per una iniziativa di giustizia politica (e quindi poi anche di coraggio amministrativo). All’articolo 22, infatti, essa dice: Lo statuto della città metropolitana può prevedere l’elezione diretta del sindaco e del  consiglio  metropolitano  con  il  sistema elettorale che  sarà  determinato  con  legge  statale. Se così fosse, il voto di chi abita a Segrate o a Rho finalmente avrebbe lo stesso valore di quello del residente in via della Spiga.

La possibilità normativa, dunque, ci sarebbe già. Occorre una volontà politica che finora non si è manifestata. Sarebbe anche un’opportunità di iniziativa che, come tutte le riforme istituzionali (le “regole del gioco”) non dovrebbe venire attuata da un schieramento contro l’altro ma potrebbe vedere la convergenza anche di posizioni opposte, capaci di superare il meschino calcolo degli interessi elettorali di breve termine per il bene del paese.

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