Lavorare a distanza non è fare da lontano quello che si faceva prima in ufficio

Una dichiarazione infelice, quella del Sindaco Sala di qualche giorno fa e una lettera al Corriere della Sera (23 giugno) certo più argomentata ma ancora inadeguata per le ambizioni di Milano e la sfida della vera innovazione

Smart, tra le altre cose, significa intelligente, svelto, abile: dunque, il lavoro si definirebbe rispetto agli obiettivi da raggiungere e non al luogo da dove lo si presta. E il richiamo al significato delle parole ci può aiutare a vedere il problema e affrontarlo al meglio.

I servizi di un comune coprono una gamma vasta di funzioni, essenzialmente di tipo amministrativo-gestionale, programmatorio-progettuale, operativo di sportello, operativo di servizio (individuale o collettivo) alla persona. All’interno di ciascuna di queste tipologie vanno identificate le funzioni che concretamente devono svolgersi in un ambiente definito e quelle che invece sono indifferenti al luogo della prestazione. Dopo questo primo passaggio, si tratta poi di vedere  quali strumenti e risorse tecniche sono richieste sia dalla evoluzione delle funzioni sia dalla evoluzione della tecnologia, quali livelli di formazione e qualificazione professionale sono necessari, quali e quanti livelli di responsabilità e le conseguenti modalità di definizione degli obiettivi e valutazione  dei risultati. Peraltro, un simile percorso produce effetti diretti sulle politiche di formazione permanente, sulle politiche di assunzioni e sulla sostituzione progressiva nel tempo dei profili professionali.

Vanno poi considerati i fattori di sistema, sui quali giustamente Sala richiama l’attenzione nella sua lettera: quali effetti si producono sulla organizzazione sociale e sulla vita della collettività? Quali si producono nella relazione tra i colleghi (i più raffinati dicano “nelle comunità professionali”)? Quali nelle dinamiche interpersonali più vaste, se “uscire di casa” ha un  valore sia sociale sia per la autonomia degli individui, a partire dalle donne?

Un  vasto programma, si può e si deve dire, un programma che richiede un impegno duraturo e consapevole, un percorso di costruzione, innanzitutto con i lavoratori che non ne possono essere oggetto bensì soggetto essenziale. Il Comune di Milano aveva iniziato sperimentazioni utili per raccogliere prime esperienze di alleggerimento delle esigenze di spostamento e di mobilità: un primo passo e nemmeno nella medesima direzione che oggi è richiesta e infatti credo che solo con le settimane di quarantena si sia posto il problema di riorganizzare funzioni e processi e dunque si stia solo iniziando a misurare concretamente il complesso delle questioni. E allora questo è il tema, una grande sfida di governo che certo non si risolve ma nemmeno si affronta con frasi e video ma con una chiamata in grande stile alla collaborazione ed alla partecipazione ad una progettazione del tutto innovatrice. E, già che ci siamo, potrebbe essere un bel passo avanti se il punto di vista fosse quello della Città metropolitana: allora sì che anche la UE capirebbe che i fondi di prossimo arrivo saranno ben utilizzati e non sprecati o arenati nelle morte gore di cui l’Italia è tristemente capofila.