Hong Kong: fare uno sforzo per capire e reagire al pericoloso piano inclinato

La stretta della Cina su Hong Kong è fonte di tensioni pericolose ma è indispensabile conoscere e capire le ragioni di una scelta così negativa.
Vale la pena di prendere in esame alcuni degli aspetti non chiari, per cercare di capire di più.

Non c’è dubbio che le scelte della Assemblea del Popolo cinese sulla situazione di Hong Kong stiano estendendo l’onda di turbolenza che da tempo sta gonfiando nella relazione tra Cina e USA. Tuttavia non pochi o secondari sono gli aspetti ancora oscuri della vicenda, tanto da lasciare ampie zone di perplessità non fugate dalle certezze granitiche di molti commentatori. Vale la pena di prendere in esame alcuni degli aspetti non chiari, per cercare di capire di più.

  1. USA, non Occidente. Il contenzioso aspro è tra USA e Cina e l’Occidente – categoria che appartiene al passato della guerra fredda – è considerato dagli USA il luogo dove cercare sostenitori se e quando servono e comunque alla condizione che non abbiano e nemmeno cerchino un profilo proprio: va sottolineato perché non solo è un fattore di forte instabilità globale ma anche la differenza (vera e mi pare anche unica) con i democratici in politica estera. Il contenzioso economico, quello tecnologico (vero centro di tutta la vicenda), quello geostrategico della primazia sul e nel Pacifico è tra USA e Cina, il resto è una  appendice. Per queste ragioni, gli altri Paesi, a partire dalla UE, dovrebbero analizzare la situazione con più prudenza: e infatti la Germania – come al solito – si distingue positivamente. Dal canto suo, la Russia guarda e non favella. La Gran Bretagna ritaglia uno spazio proprio – con la offerta di cittadinanza – all’ombra del cugino americano con un chiaro interesse da prima piazza finanziaria che attende ricadute positive.
  2. Perché la Cina ha prodotto questa accelerazione, i cui vantaggi sono scarsamente visibili e gli svantaggi (di immagine, di consistenza, di prospettiva) invece fin troppo espliciti? Lasciamo da parte le suggestive teorie sul timore degli effetti che un clima più aperto a HK potrebbe determinare nella Cina continentale: è poco più di folklore. E rinunciamo a (s)ragionare sulla necessità di recuperare una immagine di  autorevolezza incrinata dalla pandemia. Stringere le redini a HK contrasta con la linea di “un Paese, due sistemi” in base alla quale si è superata la storica condizione di enclave britannica nel continente cinese, sbloccando anche il caso analogo di Macao: difficile vedere una convenienza, sapendo che la attenzione e la sensibilità internazionale su queste situazioni sono elevate e, in  più, che gli effetti traboccano immediatamente sul vero nodo dell’area e della integrità nazionale cinese, cioè Taiwan. Su questo piano, dunque, gli svantaggi sono di gran lunga superiori.
  3. Una spinta esterna aggressiva? Questa tesi, di ampio corso negli ambienti militari non solo degli USA, può apparire fondata anche perché si appoggia da un lato ai pre-giudizi di lungo periodo e dall’altro alle continue puntate di tipo  militare nei mari e nei sistemi insulari che la Cina considera di propria competenza e in qualche caso pertinenza. Anche in questo caso, però, ci sono almeno due aspetti in più da considerare: tensioni nei mari “cinesi” eccitano reazioni di altri Paesi, dal Vietnam al Giappone, rischiando di configurare un anello militare pericoloso (si aggiunga anche l’Australia, non a caso invitata inopinatamente al per fortuna tramontato Gqualchecosa che Trump voleva svolgere a breve e che Merkel ha affondato); quel che più conta, è il contrario della spinta – formidabile – che la Cina esercita sul piano del soft power, del rapporto economico e di sviluppo (Asia Centrale, Africa, America Latina). Strategie opposte non possono reggere a lungo per ragioni di consenso, di costo, di immagine generale, di alleanze che non si stabilizzano.
  4. Un errore? All’inizio certamente, ricordiamo tutti i movimenti di massa suscitati dalla prima fase di scontro sulla legge per la sicurezza. Sembrava che in qualche modo – affannoso, tortuoso, non del tutto convincente – se ne fosse usciti. La ripresa appare sorprendente: il tempo trascorso e la enorme novità prodotta dalla pandemia sembravano poter risolvere anche il problema di “immagine” che indubbiamente si era posto. Però: anche le dittature sbagliano e i dittatori – perfino se illuminati – prendono cantonate, come tutti, ovunque e sempre. Non significa che l’errore sia meno grave, anzi, o che sia facile rimediare ad esso: significa solo cercare di collocare i fatti in una sequenza logica, perché essa c’è sempre e rifugiarsi in metaspiegazioni (il totalitarismo, la superbia, l’imperscrutabilità orientale e non so cosa altro) serve solo alla propaganda.
  5. Non sarebbe affatto inutile indagare sulle ragioni di carattere finanziario, perché l’ammonimento di Falcone non vale solo per la mafia ma per tutte le scelte umane e dei poteri: seguire il denaro serve a capire  la direzione scelta e le sue motivazioni. HK è sempre stata la cassaforte ed il tramite obbligato della finanza cinese lungo tutto il processo impetuoso di trasformazione della economia del Paese – e anzi era così anche prima del 1999. Da questo punto di vista, HK era un punto di vitale importanza, senza il quale né le Zone speciali né tutto quanto ne è seguito si sarebbe realizzato. E’ ancora così? Anche per esperienza diretta, si dovrebbe indagare di più sullo spostamento di asse che da tempo (almeno dieci anni) si è realizzato a vantaggio di Singapore, anche come sede di imprese-figlie di imprese cinesi con il compito specifico di operare sui mercati internazionali. Insieme allo sviluppo delle attività finanziarie, industriali e commerciali direttamente gestite dalla madrepatria, la somma di questi spostamenti potrebbe essere cresciuta al punto non di far venire meno, ci mancherebbe, ma di fare diminuire di peso HK. E’ una ipotesi, uno studio da fare. E non sarebbe inutile verificare anche il ruolo di Taiwan in questa vicenda: proprio il recente annuncio di Trump di un forte investimento per lo sviluppo della produzione di microprocessori  nell’isola lascia intravedere movimenti che potrebbero essere di più lungo periodo.

Tutto questo non giustifica una situazione di tensione che non può essere accettata ma può servire ad evitare la logica dell’anatema, dello scontro frontale, per riguadagnare con pazienza la sponda delle relazioni economiche e diplomatiche. E poi, in generale, è singolare giudicare gli effetti essendo all’oscuro delle cause.

C’è un piccolo-grande buco nero in tutte le questioni che riguardano la Cina: lo schema abituale, cioè appunto la eredità genetica della guerra fredda, è che ci sono due o più grandi potenze che vogliono dominare il mondo, dove possibile conformandolo a propria immagine (imponendo sistema economico, politico e stile di vita), dove necessario piegandolo con la forza (economica, militare o entrambe). Però questo schema ha un senso ed una credibilità se la forza è strabordante e soprattutto il sistema economico o politico che si vorrebbe imporre ha fascino e capacità di egemonia. La Russia non ha la forza e ancora meno fascino e attrattività “di sistema”: il socialismo esercitava potente attrazione ma Putin e il suo mafio-capitalismo? per favore! La Cina ha una enorme forza economica, può affascinare (in teoria, beninteso) l’Asia o l’Africa ma non certo l’Europa: interessa, vende e compra, ma in cosa può essere modello sociale e sistema di idee? non scherziamo. Insomma, si torna sempre al punto di partenza: c’è qualcuno che può escludere che gli Usa non abbiano tendenze al dominio? dal Vietnam in poi lo hanno chiamato “difesa (o primato) dello stile di vita americano”, Trump è rozzo e antieuropeo per ignoranza, i democratici sono/sarebbero/saranno più educati e certo sorridenti con gli europei ma sul primato tecnologico cinese faranno ancora meno sconti dei repubblicani.

In ogni caso, la migliore guerra, diceva Sun Tzu, è quella che non si combatte.