La pandemia ha reso evidente i limiti dell’attuale modello organizzativo sanitario e socio sanitario della Regione Lombardia.

Le dichiarazioni del Presidente Draghi quando saranno attuate in Lombardia avranno come logica conseguenza l’abbandono delle linee sanitarie e socio sanitarie perseguite fino ad oggi dalle giunte di centro destra che hanno governato la Regione.

Per affrontare un tema da sempre difficile come quello della sanità territoriale, partirei dalle parole pronunciate dal Presidente del Consiglio Mario Draghi, nell’ambito delle dichiarazioni programmatiche per la costituzione del nuovo governo; “Rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base (case della comunità, ospedali di comunità, consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria).
“E’ questa la strada per rendere realmente esigibili i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e affidare agli ospedali le esigenze sanitarie acute, post acute e riabilitative. La casa come principale luogo di cura è oggi possibile con la telemedicina, con l’assistenza domiciliare integrata”.
Le dichiarazioni del Presidente Draghi quando attuate in Regione Lombardia avranno come logica conseguenza l’abbandono delle linee sanitarie e socio sanitarie perseguite fino ad oggi da più di un ventennio dalle giunte di centro destra che hanno governato la Regione.

La pandemia ha evidenziato i limiti dell’attuale modello organizzativo sanitario e socio-sanitario lombardo, definito inizialmente dalle Leggi Regionali n. 31 del 11 Luglio 1997 e n. 33 del 30 dicembre 2009 dall’allora Presidente della Regione Roberto Formigoni che modificò radicalmente il ruolo della Regione nella sanità, lo strumento Azienda, il sistema di finanziamento e affermò la libera scelta del cittadino nella erogazione dei servizi.

Scelta quest’ultima davvero incomprensibile, parliamo di persone spesso sole con patologie complesse a cui più che la libertà di scelta chiedono un sistema socio-sanitario efficiente.
Mi sono sempre chiesto, quali potessero essere i criteri di valutazione di un paziente che si reca da un medico di medicina generale e sceglie a quale soggetto rivolgersi per avere una prestazione.
Con la legge Regionale n.23 dell’11 agosto 2015 la giunta presieduta da Roberto Maroni ha apportato parziali modifiche alla legge ma, come spesso capita, la riparazione è stata peggiore del buco.
In questi cinque anni non si è riusciti a garantire prestazioni adeguate sul territorio in termini di presa in carico dei cronici, di appropriatezza delle prestazioni, di coordinamento tra ospedali e distretti, di programmazione e di controlli.

A problemi di natura organizzativa e gestionale se ne aggiunge un altro tutto politico.
Per quantità di risorse economiche ed umane impegnate in Regione Lombardia, la sanità e il welfare hanno da sempre rappresentato uno dei più importanti punti di forza e di potere per la maggioranza di centro-destra.
Negli anni si è caratterizzato con un forte governo e una gestione centrale regionale del sistema, un ruolo sempre più marginale delle autonomie locali con una progressiva e sempre più marcata riduzione della loro autonomia.
Stessa sorte è toccata, anche a professionalità del management e dei clinici delle aziende sanitarie, tenute sotto stretto controllo burocratico da parte della Regione in una logica spartitoria tutta politica delle responsabilità dirigenziali.

L’auspicio è che tutto ciò possa appartenere al passato ma, penso sia doveroso evidenziare le responsabilità politiche sulle scelte fatte e sarebbe auspicabile che anche il cittadino-elettore ne tenesse conto.

La scadenza della legge regionale 23/2015 può diventare una importante occasione per la definizione e la realizzazione di una qualificata ed efficace politica sanitaria, necessaria per adeguare i propri strumenti organizzativi e strutturali alle nuove esigenze che si sono evidenziate.
Molto dipenderà dalla capacità dell’attuale giunta regionale nel coinvolgere nel processo di cambiamento, le forze politiche di opposizione, le Parti Sociali, il Terzo Settore e i cittadini lombardi in generale.
Il ridisegno della sanità territoriale, dovrà però contenere alcuni punti fermi

I tanti episodi di corruzione avvenuti negli anni nella sanità regionale ci impongono, prioritariamente, di stabilire nuove modalità di erogazione dei servizi di controllo e di garanzia sull’appropriatezza delle prestazioni.
In tal senso, devono anche essere ridefiniti in un nuovo accordo i rapporti tra l’offerta dei servizi delle strutture ospedaliere, sanitarie pubbliche e private

Per costruire politiche che spingano verso servizi domiciliari, si deve prevedere una sempre maggiore integrazione tra servizi sanitari e sociali e la loro ricomposizione attraverso punti unici di accesso integrati tra Comuni,ASL,e,AO, mettendo in rete i medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, l’assistenza ambulatoriale specialistica integrata.
Inoltre, si deve prevedere lo sviluppo degli attuali poliambulatori e la creazione di ulteriori strutture sanitarie di base, la rimodulazione dei piccoli presidi ospedalieri e posti letto a media e bassa intensità di cura.
In tutto ciò va restituito alle ASL un ruolo centrale nella rete di assistenza territoriale, perché da tempo sono state trasformate in semplici organismi pagatori delle prestazioni sulla base delle scelte regionali.

Un’azione così complessa non può essere lasciata alla buona volontà dei singoli, ma deve essere il risultato di una nuova governance tra Istituzioni e soggetti sociali, definita attraverso protocolli d’intesa con Enti ed Istituzioni per specifiche aree di intervento e progetti coordinati in rete con tutti i soggetti attivi sul territorio.
Rimane il problema di come, spesso, viene utilizzato il personale delle cooperative addetto a svolgere questi delicati lavori.
Per evitare che i pochi operatori scorretti, possano inficiare il lavoro corretto dei tanti è importante che si realizzi tra Organizzazioni Sindacali, le Cooperative sociali e gli Enti Locali un patto etico dove la tutela dei cittadini si sommi e si incontri con la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori.
Un patto che si ponga come primo obiettivo la necessità di garantire la qualità di tutto il sistema a partire dall’espulsione dal mercato del lavoro, dell’imprese che utilizzano lavoratori a basso costo, premiando al contrario le imprese virtuose.
Sarebbe veramente importante se questo percorso iniziasse dalle Residenze per Anziani (RSA) che, già precedentemente e ancor di più durante la pandemia, hanno evidenziato la necessità di dare una maggiore trasparenza all’attività svolta nelle strutture.