Il PD ha un futuro se sceglie da che parte stare

Per Enrico Letta una larga investitura. Ma il PD ha un futuro se chiarisce la propria identità e definisce il perimetro della propria rappresentanza sociale: dopo aver perso milioni di voti, solo una vera discussione può restituire un senso a questa storia.

Nel dicembre 2013 partecipavo all’assemblea nazionale del PD a Milano. Era la prima per Matteo Renzi da segretario, fresco vincitore delle primarie. Avevo votato e fatto campagna per Gianni Cuperlo, e a questa assemblea avevo molti timori e nessuna fiducia nel nuovo segretario del mio partito. Enrico Letta era il Presidente del Consiglio: alle elezioni eravamo “arrivati primi ma non avevamo vinto”, il M5S aveva dato un gran rifiuto alla proposta di governo del cambiamento di Pierluigi Bersani, c’erano stati i 101, il governo con Berlusconi. 

Poche settimane dopo questa assemblea, nel gennaio 2014, Enrico Letta subì il celebre e umiliante “stai sereno”. Oggi è il nuovo segretario del Partito Democratico. 

La richiesta che gli faccio è di non ricercare l’unanimismo a tutti i costi, ma di imprimere una svolta ad una comunità che non è più capace di discutere. Che non è più capace di scegliere da che parte stare. Che non sa più chi rappresentare.

La destra, sempre nel 2013, era in crisi quanto la sinistra: nel suo complesso raggiungeva appena il 29%, FDI era al 2% e la lega al 4%. Ma la destra, tra le tante, ha una differenza decisiva rispetto a noi: sa perfettamente quali pezzi di società intende rappresentare e come consolidare il proprio consenso quando governa. Noi in questi anni abbiamo spesso dimenticato proprio i pilastri del consenso del centrosinistra, dal pubblico impiego alla scuola, dai sindacati alla sanità pubblica, dalla ricerca all’autonomia degli enti locali. 

Il PD ha un futuro se serve a qualcosa. Se può cambiare in meglio la vita delle persone, dare diritti a chi non li ha, costruire e difendere il lavoro di qualità, affrontare le diseguaglianze crescenti. Dopo aver perso 6 milioni di voti dalla sua nascita, solo una vera discussione attorno alla propria identità e alla propria missione politica può restituire un senso a questa storia. 

In questo senso Enrico Letta ha già sollevato una serie di temi che reputo di grande valore e interesse. Purtroppo, invece, sembra voler insistere sulla proposta di una legge elettorale in senso maggioritario. Il maggioritario è un pessimo sistema, che offusca la necessità di costruire una propria forte identità politica preferendo invece le ammucchiate elettorali. Da sempre penso che gli accordi andrebbero cercati in Parlamento dopo le elezioni, facendo quindi politica, e non mettendo insieme tutto e il contrario di tutto solo per prendere un voto più degli altri. La Germania, in questo senso, è un faro di serietà: il fatto che le forze di governo trattino alla luce del sole un contratto di centinaia di pagine programmatiche in cui ciascuno riesce a collocare, mediando, una parte delle proprie priorità è un punto per me di merito, non di demerito. Soprattutto in confronto ai governi italiani di questi anni. 

In ogni caso, per dare futuro al PD le singole persone non bastano, serve qualcosa di più profondo. Ecco, a Enrico Letta chiedo di non mascherare i problemi del PD dietro alla larga investitura che ha ricevuto, e se sarà necessario discutere, litigare e scontrarsi è meglio farlo alla luce del sole e attorno a diversi programmi e visioni del Paese piuttosto che in oscuri meandri di palazzo.