Cambiare il modo di pensare perché il mondo è già cambiato.

La Conferenza per il Futuro dell’Europa è iniziata il 9 maggio ma ci sono tante scelte di una nuova UE che vanno fatte prima, adesso. Le politiche dei vaccini sono il caso più importante ed urgente e richiedono una grande innovazione politica.

Il 9 maggio si è aperto il processo – durerà un anno – di consultazione allargata a organizzazioni e cittadini per definire percorsi e contenuti di una nuova fase della Unione Europea, la Conferenza sul Futuro dell’Europa. Una sfida appassionante i cui esiti sono del tutto aperti e  certamente la cosa più importante è che intanto si consolidino le grandi novità che la risposta alla pandemia ha già prodotto nelle politiche di sviluppo, in quelle finanziarie, in quelle sociali. E’ però tutto da decidere se e fino a che punto queste novità diventeranno permanenti, cioè – in concreto – in che modo e misura cambierà il rapporto tra ambiti della sovranità nazionale e ambiti della sovranità europea.

La questione dei vaccini è quella più urgente, perché va risolta adesso, anzi, ieri. Ricerca, produzione, distribuzione sono le tre fasi e per ciascuna di queste la UE deve superare difficoltà rilevanti. Un primo squilibrio  è nel rapporto tra ricerca e produzione. Alcuni Stati hanno investito fortemente nella ricerca e se ne vede subito l’effetto: chi più ha investito, anche a supporto della produzione, più presto e massicciamente ha potuto impegnarsi nei piani di vaccinazione della popolazione. Questa è la ragione essenziale per cui si è aperto il tema dei brevetti: i risultati di un così grande sforzo pubblico non può essere di proprietà delle industrie del settore. Il riconoscimento del lavoro fatto, ed anche il profitto conseguente, sono giusti se equi, se da un lato non arrivano a livelli speculativi  e dall’altro non rappresentano un ostacolo alla diffusione globale dei vaccini: si chiama pandemia perché non ha confini e, come il virus, anche il vaccino deve poter correre liberamente su scala globale, come il primo attacca tutti, così il secondo deve proteggere tutti, se si vuole che sia protetto ciascuno.

Questo non basta. Da decenni la produzione dei farmaci – ma anche della strumentazione medica e degli altri prodotti sanitari – si è trasferita nei Paesi asiatici, non ci sono, almeno in Europa e nei singoli Stati, campioni industriali di dimensioni adeguate. E’ il tema dei cosiddetti “campioni” nazionali o europei, ma per dirla in modo più convincente è il tema delle politiche industriali, dalle quali da un lato l’Italia si è ritirata, accettando un ruolo subalterno rispetto ad altri Paesi e malgrado proprie tradizioni e vantaggi, dall’altro anche la UE non ha fatto nulla per creare soggetti sovranazionali o filiere integrate e connesse. E’ il caso dell’acciaio, delle telecomunicazioni, dell’informatica, della farmaceutica e di altri settori ancora: sono i settori non a caso delle grandi crisi industriali italiane e del ritardo strutturale nel confronto con Usa e Cina. Francia e Germania stanno meglio, ma solo un poco: in ogni caso, il salto di dimensione oggi richiesto non può essere fatto da un solo Paese.

Vi è una seconda ragione per procedere su questa strada e influire sulle decisioni che verranno prese al termine della Conferenza. I problemi sono tutti davanti a noi e vanno affrontati e risolti adesso, non tra uno o due anni. Ogni giorno viene ripetuto il ritornello sulla necessità di contrastare Russia e Cina che vogliono fare un uso politico dei vaccini, per ottenere dai Paesi più poveri un ritorno in termini di prestigio e di sostegno nella politica internazionale. Bene, è vero, è proprio così, questo è l’obiettivo di Russia e Cina ma è anche il medesimo obiettivo e scopo degli USA e della UE. Bisogno smetterla, a tutti i livelli della politica e della informazione, di pesare con misure diverse atti e comportamenti che sono tra loro identici per ispirazione, finalità e modalità. Bisogna assumere un diverso modo di pensare, passare dal confronto alla cooperazione, far corrispondere ciò che si dice a ciò che si fa. Se si dice che “la pandemia è come una guerra”, allora si sbloccano i brevetti così come si varano tasse speciali sui profitti di guerra. Se si dice che il mondo è interdipendente e deve affrontare sfide globali, si collabora per affrontarle. Se si difendono i diritti umani, quale diritto umano è più importante della vita e dunque di difenderla con la distribuzione  dei vaccini ovunque? Se si deve vaccinare l’umanità, perché nessuno sta preparando progetti di distribuzione e inoculazione, che sono altrettanto importanti della produzione e della distribuzione?

Una sinistra che si rispetti dovrebbe lanciare queste parole d’ordine, inventare forme e strumenti per sostenerle e dare loro corpo, impegnarsi nelle istituzioni per far affermare questi orientamenti, sottrarsi al gioco delle dichiarazioni per aprire tre giorni prima di quanto già deciso per farne poi vanto proprio e denunciare chi si muove e parla strumentalmente. O forse qui si aspetta la versione attuale della “rossa provvidenza”, cioè un Fedez che faccia qualche nuovo appello? Non è vero che si debba solo attendere le decisioni dei governi o le parole (sempre straordinarie) del Papa: si può fare molto, ci sono già idee e progetti da riprendere, rilanciare, far diventare senso diffuso. I soggetti politici non nascono dai congressi (che poi nemmeno si fanno, al massimo si fanno le primarie!) ma dalle pratiche politiche che nascono da nuovi modi di pensare e di agire.