Letta e Draghi: gli ingenui benintenzionati ed i veri conservatori

La mancanza di reali tasse di successione, in Italia, va contro ogni principio liberale, prima che socialista. Ed Enrico Letta da sempre sottolinea che bisogna spostare, in parte, la spesa dello Stato a favore delle generazioni più giovani. Nel merito, c’è poco da discutere, ma per una certa sprovvedutezza Letta ha presentate insieme le due proposte, offrendo il fianco a oppositori troppo furbi.

Ho già argomentato le ragioni per intervenire sulla tassazione troppo favorevole delle successioni, spendo qui due parole per sostenere l’opportunità di una “dote giovani”.

L’età media in cui si esce dalla casa dei genitori è inferiore ai 25 anni nell’Europa ricca, dalla Francia all’Inghilterra alla Finlandia – fra 25 e 30 anni in Spagna Portogallo, Europa dell’est Grecia e Turchia – superiore ai 30 anni soltanto in Italia e nei paesi dell’ex Jugoslavia. Dietro questi dati vediamo anni di frustrazioni, idee e speranze soffocate e rattrappite, famiglie che non si formano e figli che non nascono. La nostra demografia si spiega anche così. I nostri corsi di studio sono spesso lunghi e dispersivi. Peggio, finito di studiare, si cade con frequenza nella condizione di NEET, giovani che non studiano e non lavorano. Risulta che sono 2 milioni, vivono, male, a carico dei genitori.

Dare al giovane un piccolo capitale, che gli permetta di aver coraggio nello scegliere anche percorsi di vita un po’ meno garantiti, mi pare molto utile per tutto il paese, non solo per i beneficiari diretti. Non è certo l’unica cosa da fare, per i giovani, ma non c’è scusa per non volerlo fare. Enrico Letta lo ha detto e ha fatto molto bene.

Ha scelto poi di collegare le due giuste idee: “Tassiamo i ricchi per dare una dote ai giovani”. Immagino lo abbia fatto per ragione di immagine e di consenso da coagulare – ma non è andata bene: ha ottenuto l’ostilità di chi, a torto o a ragione, non voleva la prima cosa e quella di coloro che non apprezzavano l’altra. Ma, più importante, ha proposto un assurdo politico, la “tassa di scopo” per esigenze continuative, non emergenziali.

I flussi di entrate e uscite dello stato dovrebbe essere oggetto di due processi indipendenti: Quali sono i bisogni, le esigenze che devo soddisfare? Con quale criterio di priorità? – Quali risorse posso estrarre dal paese? Con quali regole di contribuzione?. Il delicato lavoro di far collimare i numeri finali può essere fatto solo con uno sguardo complessivo – vincolare un flusso in entrata ad una ed una sola esigenza in uscita e viceversa non può che condurre a risultati subottimali. E basti per l’aspetto tecnico. Peggio per le conseguenze nella politica tattica: ha consentito agli avversari in malafede di attaccare l’apparenza meno popolare (“mettere le mani nelle tasche degli italiani”) per svicolare dalle ragioni serie e profonde delle proposte.

Letta e i suoi consiglieri sono stati ingenui, troppo attenti alle immagini dei social e poco in sintonia con l’Italia profonda. Chi gli si è opposto, Draghi prima di tutto, si è dimostrato, anche questa volta come un “conservatore” nel senso peggiore del termine: conservatore dell’Italia delle ingiustizie e delle diseguaglianze, del paese che perde slancio e competitività, che non è capace di por mano alle storture evidenti, perché ai privilegiati sta bene così.

Io ripeto la domanda (ceterum censeo …): perché mai sosteniamo questo governo?