Sicurezza degli impianti e sul lavoro: tre cose che si devono fare subito

Un mese fa Luana D’Orazia, giovane madre toscana, è morta in fabbrica, stritolata da un orditoio. Quindici giorni fa, 14 persone hanno perso la vita nella caduta della funivia del Mottarone. Due giorni fa due operai sono morti soffocati mentre pulivano una cisterna da vino vuota. Nessuna “fatalità”, tutte queste persone potrebbero essere vive fra noi.

Il caso toscano è tragicamente semplice: nell’impianto su cui lavorava la vittima, una grata mobile sta fra i pericolosi rulli e la posizione dell’operatore. Può essere sollevata a impianto fermo per le operazioni di alimentazione ma un collegamento elettronico assicura che la macchina possa poi avviarsi solo dopo che la grata sia ridiscesa in posizione di protezione. Questa procedura rallenta le operazioni e diminuisce la produzione – un tecnico esperto, perciò, aveva disattivato il collegamento. Quel giorno l’operaia, risucchiata dai rulli, è morta col torace schiacciato.

Simile il caso del Mottarone: la cabina è caduta per la rottura della fune traente e l’uscita del carrello dalle funi portanti (che sono intatte). In questi casi, un freno d’emergenza vincolerebbe la cabina alle portanti. Ma ad esso è stato impedito di funzionare dai famosi “forchettoni”. Chi lo ha deciso? Solo il capo conduttore dell’impianto o il suo capo, direttore tecnico o anche il proprietario dell’impianto? Lasciamo stabilire alla magistratura cosa è successo davvero questa volta, essenziale è il fatto che avrebbe benissimo potuto essere un singolo “Schettino” a dare questo ordine criminale.

Sia chiaro: rimuovere le protezioni di sicurezza su un impianto può essere necessario, ad esempio per operazioni di pulizia e manutenzione. Però, ricordiamo che, per entrare nel caveau di una banca, occorre l’intervento di due persone diverse. Neanche il direttore generale può farlo da solo (procedura “a doppia chiave”) e di ogni visita si lascia traccia firmata su un registro. Per metter a rischio le vite, non è così: chiaramente, ci interessa di più proteggere i soldi che gli operai o i turisti. Una legge deve rendere obbligatoria la “doppia chiave” per gli impianti più pericolosi.

Cisterne, serbatoi. Copio dal sito dell’INAIL “Morti bianche. Le vittime delle cisterne negli ultimi due anni. Non è la prima volta, anzi. La storia dei cinque morti ieri a Molfetta… un operaio è morto in provincia di Ravenna… due addetti ai lavori di pulizia della stiva di una nave a Porto Marghera… asfissiato in un cantiere… “ e via così per dodici righe impressionanti.
Ma questo testo è del 2007!  Sappiamo benissimo che i serbatoi sono pericolosi, ma non abbiamo fatto niente. Una legge deve rendere obbligatorio l’uso di sistemi automatici di recupero e la vigilanza esterna per operare nelle cisterne.

Ma, si sa, il singolo imprenditore può essere criminale o stupido. Sarà forse una minoranza di casi ma intanto l’anno scorso abbiamo avuto 1270 incidenti mortali. Nei giorni scorsi l’on. Chiara Gribaudo, deputata del PD, ha proposto l’assunzione immediata di ispettori del lavoro per verificare il rispetto delle normative. Il mondo imprenditoriale, confermando la propria tradizionale miopia, è insorto. Non arrivano nemmeno a capire che è meglio essere sanzionati per un’inadempienza che trovarsi con l’attività chiusa e sotto processo (e trascuro gli aspetti etici). Il governo dei migliori non ha fatto un plissé. Io sto con Chiara.