Esercizio abusivo della professione di Riformista: da Bernstein e Anna Kuliscioff a Luca Lotti

Quando si fa un uso sciatto e inconsapevole delle parole o se ne manipolano deliberatamente i significati, l’effetto è il logoramento e la perdita di senso. La parola Riformista, negli anni, ha subito questo destino triste. Ascoltandola, viene spontaneo tradurla: “conservatore”, spettatore soddisfatto della società di oggi. Ma la parola non significa questo.

Cerchiamo di fare chiarezza. Nella storia, “riformista” non è un sostantivo, è un aggettivo da aggiungere al nome “socialista”. Alla fine dell’ ‘800, fra i socialdemocratici tedeschi, alcuni mantenevano ferma la tensione verso un’imminente rivoluzione proletaria ma altri la vedevano semmai molto lontana nel futuro. Si chiedevano perciò come migliorare da subito la condizione delle classi subalterne Trovarono la loro ideologia nel marxismo revisionista di Edward Bernstein, la loro forza nei sindacati, attenti al benessere dei lavoratori  “qui ed ora”. Puntavano a regole migliori, negli orari e nelle condizioni di lavoro, a sistemi politici più democratici, a sanità e istruzione per tutti. Volevano riforme in questo senso, i “rivoluzionari” li chiamarono “riformisti” con un po’ di disdegno. Ma i “socialisti riformisti” non erano moderati: quando il partito socialdemocratico si scisse sulla questione della guerra e della pace, Bernstein stette fermamente con i pacifisti intransigenti.

Anche in Italia, nei primi anni del ‘900, si evidenziò una contrapposizione. Fra noi, ai riformisti si contrapposero i “massimalisti”. Storie di contrasti, di scissioni ripetute, qualche cedimento al sistema, la prima guerra mondiale, l’avvento del fascismo … A caratterizzare i “riformisti” era anche, lasciatemi dire, un “animo buono”, una sincera empatia verso i meno fortunati: Anna Kuliscioff, la “dottora dei poveri”, Camillo Prampolini apostolo del socialismo fra i contadini analfabeti.

Dopo la guerra e la resistenza, di “socialisti riformisti” o massimalisti non si parlò più per trent’anni. Il termine fu riesumato da Craxi, già con una sottile distorsione: chiamò Riformisti la sua corrente, per riallacciarsi non al contenuto delle idee di Turati ma alla posizione di contrapposizione contro la sinistra massimalista o comunista. A noi, che non condividevamo questo atteggiamento polemico, il nome infastidiva un po’, per questo. Preferivamo esser chiamati “riformatori”, perché volevamo riformare davvero il paese, in profondità.

Oggi, come ho detto all’inizio, si sente di tutto: civici “riformisti”, moderati “riformisti”, liberal conservatori “riformisti”, cristiani “riformisti” e via inventando. Logica conclusione, si è chiamata “Base Riformista” una corrente del PD creata da un rispettabile moderato di tradizione cattolica (Lorenzo Guerini) ed un creativo partecipante al fu “giglio magico” (Luca Lotti). Oggi fra i riformisti si trovano brokers di diritti televisivi calcistici, consulenti del rinascimento arabo, molti consiglieri d’amministrazione nelle banche …. E vogliono promuovere, per referendum, l’abolizione del Reddito di cittadinanza ai più poveri. Chissà cosa ne direbbero Prampolini e la Kuliscioff.