Il problema non è la patrimoniale ma una narrazione dell’Italia fatta solo da benestanti

In Italia parlare di patrimoniale è difficile, perché chi ne scrive sui giornali e chi prende le decisioni appartiene sistematicamente ai ceti benestanti che dovrebbero pagarla.

Un emendamento parlamentare ha riacceso la discussione attorno al tema della patrimoniale, la famigerata tassazione straordinaria (o anche ordinaria, a seconda delle proposte), sui capitali e i patrimoni. Non intendo entrare nel merito della specifica proposta, né dei modi – assolutamente discutibili – con i quali è stata presentata. Quello che mi interessa sottolineare è la reazione (parola più che mai calzante) con cui è stata recepita dalla classe politica, dirigente e mediatica di questo nostro strano Paese.

I media liberali spesso sottolineano come l’Italia sia un Paese che negli ultimi decenni ha visto allargarsi la forbice delle diseguaglianze. Non solo in Italia, naturalmente. Tuttavia, il nostro è un Paese le cui storture sono più radicate che altrove. Non è un mistero che l’Italia abbia, ad esempio, una tassazione assai più blanda di quella di altri stati europei sulle successioni, oppure un sistema di tassazione delle rendite più conveniente di quello sul lavoro. Un intricatissimo dedalo di detrazioni e bonus premia i piccoli proprietari (e ancora di più i grandi) a discapito dell’ex ceto medio, quello composto dai lavoratori dipendenti di reddito non alto. Se poi questi lavoratori non hanno una casa di proprietà ma vivono in affitto, c’è anche la beffa di contribuire con le proprie tasse agli sgravi fiscali con cui i proprietari di case possono ristrutturarsi la seconda proprietà al mare, senza avere invece alcun vantaggio fiscale per se stessi.

Leggendo i commenti e le analisi alla proposta di patrimoniale sulla stampa italiana, sembrerebbe che chiunque abbia almeno un paio di trilocali a Milano. Chi, del resto, non li eredita sistematicamente? E quindi, insomma, andrebbe anche bene immaginare – sempre in termini eminentemente lontani e fumosi –  qualche forma di tassazione supplementare sulle ricchezze, ma fissare una soglia così bassa (500.000euro al netto di posizione debitorie) significherebbe colpire duramente i piccoli risparmiatori!  

Questo modo di ragionare non stupisce: l’Italia viene raccontata – e governata – ormai quasi esclusivamente da una classe dirigente e da un sistema mediatico che non ha più alcun contatto con la realtà materiale di una enorme maggioranza delle persone. No, non è vero che chiunque erediti due trilocali a Milano. No, non è vero che l’80% degli italiani rientrerebbe nella categoria dei possessori di un patrimonio netto di 500.000euro: forse l’8% scarso. No, il ceto medio non è questo, il ceto medio è composto da lavoratori che a fine mese mettono insieme 1500euro con una tassazione IRPEF che ormai non è assolutamente più adeguata a garantire una autentica progressività fiscale. E no, chiedere un contributo dello 0,2% a chi ha un patrimonio netto come quello non vorrebbe dire affatto colpire i ceti produttivi.

Se la narrazione dominante è questa, e se le azioni messe in campo dalla classe politica si basano su una visione del Paese come questa, non stupiamoci se ad ogni tornata elettorale – e ogni volta con ingenua sorpresa – vengano premiati i partiti populisti del momento.  Per chi si trova in condizioni materiali disastrose, condizioni peraltro sempre più diffuse, è l’unica possibile forma di reazione pre-politica possibile. E il Partito Democratico, l’unica forza politica che si pone al tempo stesso il compito di sconfiggere il populismo e costruire un Paese più equo e solidale, dovrebbe rendersi conto dell’urgenza delle scelte.

1 thought on “Il problema non è la patrimoniale ma una narrazione dell’Italia fatta solo da benestanti

  1. Il tema della ptrimoniale è male impostato. Esso parte dal vecchio principio, di una vecchia sinistra , che i ricchi vadano puniti. E non semplicemente che ai ricchi si debba far pagare di più le stesse cose che tutti già, in misura minore pagano e non inventarsi tasse specifiche e spesso cervellotiche. Mi spiego. Prendiamo il possesso di uno o più immobili adibiti ad abitazione. Se è la prima non si paga nulla se è la seconda , la terza ecc. si paga secondo meccanismi cervellotici che la classificano nelle diverse categorie catastali del tipo se hai una giardino , una piscina con certi prametri ecc, la casa diventa di lusso ecc. Peccato che spesso tutto questo e frutto di cervellotici contenziosi da parte di una burograzia alla quale, con leggi complicatissime, si demanda la definizione e la riscossione. Quando sarebbe molto più semplice basarsi sulla sola superficie calpestabile della sola parte realmente abitativa indipendentemente che si tratti della prima, della seconda o della n. proprietà di abitazione. Facciamo per esempio un euro al mq. a carico dell’effettivo proprietario del/ degli immobili. A quanto ammonterebbe l’entrata per lo Stato? . Del resto un non ricco non abita in 1000 mq, come un ricco non abita in 60 mq. Moduliamo la tassa dovuta per mq. , anche con eventualmente scaglioni crescenti in base alle esigenze fiscali dello Stato. E poi finiamola lì con tutti gli altri distinguo, (se c’è il giardino o se nonc’è il giardino se ha più di un garage se è alta o se è bassa se è in centro o in periferia ecc. ), con mille balzelli e mille distinguo. Il problema della gente più che di pagare l’equo è di essere sempre nell’incertezza e nel dubbio di non sapere mai se può dormire tranquillo di fronte allo Stato. Solo semplificando e rendendo trasparente le procedure che si può ripristinre un rapporto di fiducia tra cittadino e Stato. Al di fuori del quale si è solo sudditi ostili al senso dello Stato.

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