Legge elettorale maggioritaria, voto a 16 anni, nuove regole contro la frantumazione in Parlamento: bisogna pensarci meglio, molto meglio.

Saltare da un gruppo all’altro è malcostume e va limitato, però la crisi della rappresentanza è pesante e va affrontata perché è la base di un sistema democratico. Non sembra che il Pd sia avviato su una strada sicura e convincente, preso più da effetti slogan che da riflessione completa.

Augurare buon lavoro a Enrico Letta è doveroso, perché se lo merita – avrebbe potuto restare a Parigi – e perché se riesce nei suoi intenti e rivitalizza il più grande partito dell’area progressista è un buon risultato per tutti. Quanto agli indirizzi, è serio attendere di vedere meglio e ascoltare ben altro rispetto a quanto ha detto domenica: tranne la supponenza di Renzi sulla rottamazione, tutti i segretari del Pd hanno esordito dicendo cose piuttosto simili tra loro e solo gli atti concreti hanno fatto vedere obiettivi ed intenzioni. Anche i commenti dall’interno furono sempre piuttosto simili ed anche le ampie maggioranze: visto poi come sono andate le cose – con tutti – è bene restare in attesa e augurare miglior fortuna.

Tre proposte sono state fatte in modo preciso e allora su queste si può intervenire.

Legge elettorale: con maggiore chiarezza da Fazio rispetto alla Assemblea nazionale (?!), Letta ha espresso un giudizio positivo sulla legge che venne scritta da Mattarella e a quella vorrebbe tornare. Evitando lunghe analisi – ve ne sono in circolazione da quasi 30 anni, ormai – si può andare al nocciolo su due questioni.

  1. La prima è che con quella legge ci furono sì maggioranze delineate in modo sicuro ma certamente non stabili, segno sicuro che il sistema elettorale può limitare ma non evitare che i problemi politici riesplodano in un qualsiasi momento. Accadde al centrodestra (Bossi contro Berlusconi, Fini contro Berlusconi) e accade al centrosinistra (PRC contro Prodi, sfarinamento sempre contro Prodi determinato ma non causato da Mastella) ma questi furono solo gli episodi in cui precipitarono le cose. In realtà, la frantumazione politica era precedente, era stata cristallizzata dalla attribuzione dei collegi e aveva prodotto la diaspora e le transumanze dei parlamentari eletti. Questo, anzi, è stato il segno fino ad oggi, pur con le due leggi elettorali che hanno riformato quella di Mattarella. E va aggiunto che con i collegi uninominali il potere di condizionamento dei singoli aumenta esponenzialmente, vero o presunto che sia il potenziale elettorale dei singoli (?!).
  2. La seconda osservazione è di sistema. Che ci sia un enorme problema di rappresentanza del Paese, di forze e bisogni, di obiettivi e finalità, mi pare non negato da alcuno. In un sistema democratico e rappresentativo questo è il primo fondamento della legittimazione: siamo alle basi del sistema, anzi. E allora, a questo in primo luogo deve rispondere un sistema elettorale e le distorsioni che inevitabilmente qualsiasi sistema maggioritario produce sono la negazione – che continua da 30 anni! – della possibilità di ricostruire una rappresentanza efficace. La stabilità del governo si ottiene in molti modi: alcuni politici, ad esempio governando bene cioè realizzando politiche a sostegno di interessi di ampia portata (geografica, sociale, economica, ideale); altri regolamentari e per questi è apprezzabile la (seconda) proposta che Letta ha fatto di modificare i regolamenti delle Camere per ostacolare la frantumazione dei gruppi parlamentari e frenare le mille diaspore di cui spesso è difficile rintracciare effettive valenze politico-programmatiche non strumentali. La questione della rappresentanza rileva anche a proposito del fatto che il maggioritario è fatto anche per blindare gli schieramenti: ma se la politica è fatta da un blocco contro l’altro, il sistema diventa quello della contrapposizione a ruoli fissi, alla sostanziale impossibilità di cambiare posizione, dunque arrivando alla negazione della utilità di un confronto che non sia contrattazione e mercato. Questa è la base vera della crisi della centralità delle assemblee elettive, compresi comuni e Regioni, e su questo tema il dibattito è povero in modo inversamente proporzionale al fiume di teorizzazioni sul maggioritario, compresa la parola d’ordine “sapere la sera chi governerà dal giorno dopo” che non esiste se non nei Paesi ad elezione diretta del Presidente del Consiglio, non a caso pochissimi. Stabilità invece si ottiene con la previsione della sfiducia costruttiva, che chiede una riforma costituzionale. Luciano Violante ha fatto alcune proposte di un certo interesse in proposito e la vicenda (per altri versi incredibile) del pareggio di bilancio nonché la vetta di insipienza sul taglio dei parlamentari dimostrano che anche le riforme costituzionali si possono fare in tempi ragionevoli.

La terza proposta è di portare a 16 anni il limite di età per il diritto di voto. Non mi pare il caso di iniziare qui una discussione sul grado di maturità degli adolescenti: ci saranno, auspicabilmente tempi e luoghi dedicati. Francamente, sembra che nella proposta prevalgano gli aspetti formali e propagandistici, come già in occasioni precedenti e da parte di segretari precedenti (una divisa per il ruolo?), in riferimento alla necessitò di riequilibrare la composizione per età del corpo elettorale (e sarebbe a conti fatti troppo poco, il problema è l’invecchiamento della popolazione) e di mettere al centro i problemi del futuro. Sembrerebbe che i ritardi politici o le incapacità o indirizzi politici diversi si riconducano a dati anagrafici: negli anni 70 e 80 avevamo ampie classi giovanili nella popolazione ma si fecero ugualmente politiche senza il respiro necessario e ancora negli anni 90, per non dire che il piano degli asili nido è una politica di oggi per i 25-40enni di oggi che proietterebbe effetti importanti sul futuro e così vale anche per le politiche di incentivazione e sostegno al lavoro femminile.

E poi ci sono aspetti – anche qui – di sistema: portare la maggiore età a 16 anni significa contemporaneamente portare allo stesso livello la patente di guida, la responsabilità civile e penale, l’insieme delle potestà giuridiche, comprese quelle economiche attive e passive (aprire una impresa e farla fallire, rispondendone), pagare le  tasse: non sarebbe accettabile consegnare il destino del governo a soggetti che non si assumono le responsabilità della vita civile ordinaria. Tanto basti, per favore: mettere al centro i giovani si fa costruendo una scuola adeguata per contenuti e strumenti, un sistema economico che dia lavoro di qualità e di quantità, valori e idealità all’altezza del mondo attuale, un ambiente avviato al risanamento. E una politica non demagogica.