Sono favorevole al DDL Zan ma…

Per la serie “ma chi se ne importa di che cosa pensi tu del ddl Zan” vi dirò ora precisamente che cosa penso io del ddl Zan: penso che sono favorevole al ddl Zan, alla sua ratio e all’opportunità sia di allargare il perimetro del 604-bis del Codice Penale alle fattispecie proposte sia di esprimere uno sforzo a livello statale per diffondere e promuovere una cultura del rispetto e della tutela dell’uguaglianza nel campo, diciamo così, dell’identità, delle scelte e degli orientamenti sessuali MA penso anche che ci sia un problema (o meglio un rischio) nel ddl Zan che mi sento, in tutta coscienza, di dover e voler segnalare. Proverò qui a spiegare quale, sperando di non dovermi per questo sorbire una grandinata di aggressioni o di accuse di essere transomofobico, per la semplice ragione che so incontrovertibilmente di non esserlo. Però vabbè, mi rendo conto che è completamente inutile mettere le mani avanti su questo specifico punto, sicché correrò il rischio e giudicherete voi.
Ordunque.
La mia grande perplessità riguarda la precisa e circoscritta casistica degli “atti discriminatori sulla base dell’identità di genere” che il ddl Zan proibisce e che in linea puramente teorica permetterebbe al giudice di sanzionare, per fare qualche esempio:
– un locale che non permetta a un uomo che si sente donna di accedere ai bagni femminili
– una giuria che non ammetta un attore che si sente attrice ad ambire a un premio riservato alle donne
– una commissione che non permetta a un imprenditore che si sente imprenditrice di partecipare a un bando dedicato all’imprenditoria femminile
– un partito che non permetta a un politico che si senta politica di essere abbinata a un un uomo laddove sia prevista l’obbligatorietà di candidature numericamente equilibrate tra uomini e donne. Il motivo per cui nutro queste perplessità dovrebbe essere chiaro a chiunque ma, a rischio di risultare pedante, lo illustrerò nel modo più preciso che riesco.
Il problema, per come la vedo io, sta nella contraddittorietà della riforma proposta che se da una parte include il sesso biologico tra le fattispecie considerate meritevoli di tutela giuridica rafforzata dall’altro pone le condizioni perché le donne, biologicamente intese – figure storicamente, socialmente, culturalmente, economicamente e giuridicamente piuttosto penalizzate – si trovino nella condizione di poter patire una ulteriore discriminazione in uno dei loro diritti essenziali, che è quello di essere riconosciute come sesso biologico, per l’appunto. Sono dell’opinione che includere identità di genere e sesso biologico nella stessa legge e renderli tutelabili con lo stesso identico strumento legislativo sia quindi una clamorosa contraddizione in termini che, tanto per cambiare, si può risolvere a ulteriore e paradossale svantaggio delle donne biologicamente intese, permettendo agli uomini che si sentono donne (ma che restano biologicamente uomini) di accedere a trattamenti e quote di rappresentanza dedicati alle donne biologiche, creando – dal punto di vista politico e sociale – una ulteriore e non opportuna invasione di campo. Sono infatti, fino a prova contraria, convinto che sia cosa buona e giusta continuare a tracciare talune linee di demarcazione seguendo un criterio rigorosamente biologico e lo sono per il preciso motivo che riconosco nel sesso biologico femminile una categoria di persone storicamente, socialmente, culturalmente e politicamente penalizzate. Ritengo pertanto assolutamente premature fughe in avanti in questo senso. Tutto va fatto a tempo debito e, per come la vedo io, sancire per via di legge il divieto di atti discriminatori sulla base dell’identità di genere (che è cosa diversa dall’istigazione all’odio, all’aggressione e alla presunzione di superiorità, com’è del tutto evidente) sia politicamente opportuno e socialmente accettabile solo DOPO che si sarà effettivamente raggiunta e garantita la parità giuridica e sociale sulla base del sesso biologico. Non prima e tanto meno contestualmente, ma decisamente e incontrovertibilmente in subordinata a quella parità sostanziale e non già solo dichiarata come intento. Questo perché fondamentalmente mi assumo la responsabilità politica di pensare che prima venga la tutela del sesso biologico e poi quella dell’identità di genere che mi pare un interesse assolutamente tutelabile ma non al costo di annullare le differenze biologiche prima di avere effettivamente parificato i diritti e i carichi sociali ad esse correlati. Dicesi infatti “discriminazione” una distinzione (che non è e non può essere ridotta sempre a vulnus antiegualitario) operata in seguito a un giudizio MA ANCHE a una classificazione. Ebbene, che piaccia o non piaccia, ritengo il dato biologico ancora meritevole di classificazione, non foss’altro perché non siamo ancora stati politicamente in grado di eliminare le conseguenze giuridiche e sociali che tale classificazione di fatto comporta nel nostro modello sociale, culturale e politico. Spero di essermi spiegato bene. Nel caso così non fosse discutiamone pure, se possibile senza volermi convincere di essere affetto da fobie che so di non avere. Grazie.