Nucleare e rinnovabili green: il conflitto riparte, anche a sinistra.

La crisi dei prezzi dell’energia ha riavviato la discussione sul possibile uso del nucleare in Italia, argomento morto e sepolto con il referendum del 1987 e ancora con quello di giugno 2011, quando il governo Berlusconi aprì a un ritorno al nucleare firmando con la Francia un accordo per la costruzione di 4 reattori EPR di terza generazione avanzata.

Senza volere essere pregiudizialmente contrari, i reattori EPR in questione ancora oggi non sono disponibili alla produzione e non ci sono date certe. In Europa sono in costruzione in Francia dal 2007 a Flamanville e in Finlandia dal 2005 a Olkiluoto, hanno accumulato un enorme ritardo per problemi tecnici legati alla sicurezza e stanno subendo un aumento dei costi almeno 5 volte superiori alle previsioni iniziali di 3,5 miliardi di euro.
E i reattori di quarta generazione tanto cari a Salvini? Sono ancora in fase di sviluppo e per quanto possano essere interessanti non c’è notizia di investimenti economici sufficienti alla loro messa in produzione per i prossimi anni.
Gli obiettivi europei per il clima prevedono un taglio del 55% delle emissioni di gas climalteranti entro il 2030, ossia di contenere l’aumento della temperatura media entro 1,5 gradi rispetto al 1980 (perché ritenuto un obiettivo ancora raggiungibile) e la neutralità climatica entro il 2050. Verosimilmente i tempi sono stretti per una ipotesi in direzione del nucleare, che di fatto lo mette fuori gioco certamente per il 2030.

Alcuni sostengono la validità della opzione nucleare perchè in altre parti del mondo si stanno costruendo ancora centrali nucleari, ma la quota di produzione di energia non sarà significativa e i costi superiori rispetto al green stanno orientando i produttori di energia maggiormente in tal senso.

Si pone poi il problema dello stoccaggio in sicurezza delle scorie nucleari che hanno un tempo di neutralizzazione di circa 10.000 anni, un tempo talmente lungo per cui già gli scienziati si sono posti il problema di come comunicare la loro esistenza e pericolosità agli umani che popoleranno la Terra da oggi fino ai prossimi 100 secoli. Forse la ricerca scientifica troverà prima altre soluzioni per neutralizzare le scorie radioattive ma è molto più una scommessa che una certezza.

Per l’Italia ci sono buone ragioni per sostenere che oggi non è tempo per il nucleare, per la conformazione del territorio e per la sua fragilità, anche sismica, per la densità di popolazione, per la scarsa capacità di gestione delle scorie nucleari in stoccaggio come ha mostrato recentemente la gestione di SOGIN (vedi Saluggia in provincia di Vercelli).
Inoltre, quali possibilità di tempo e di capacità tecnologica ci sono in Italia concretamente per riattivare il nucleare? Praticamente nessuna, con buona pace dei tanti, a destra e a sinistra che si sono lanciati in questi mesi in una campagna a favore più politica-ideologica che legata a elementi di concretezza.

Ma serve veramente una ripresa del nucleare in Italia per tenere il passo con i consumi energetici? Si dovranno installare 80GW di rinnovabili entro il 2030 e già ci sono richieste di installazione per una potenza superiore.  Terna ha già dato parere positivo all’allaccio alla rete elettrica per gran parte delle richieste di concessione presentate e in attesa di autorizzazione che sono di circa 110 GW on shore e circa 17 GW off shore.
Paradossalmente anche i parchi di fotovoltaico o le pale eoliche sono nel mirino delle sovraintendenze e delle comunità locali, sostenendo che venga deturpato il paesaggio oppure sottratto terreno coltivabile.
Quindi i percorsi autorizzativi sono al palo con tempistiche a due-tre anni. Un paradosso!
Servirà incominciare a fare pace con sé stessi se si vorrà superare la produzione di energia da fonti fossili, non nascondendoci che ci sono anche molti interessi in campo da parte delle compagnie produttrici.

Un ragionamento dovrà essere fatto anche sulla strategia che l’Italia ha adottato negli anni passati, imboccando la strada verso il gas, Non va dimenticato che le direttive per la riqualificazione degli edifici della Commissione UE già hanno posto sia l’obiettivo dello stop alla installazione delle caldaie a gas sia della eliminazione di quelle a combustibili fossili dal 2040.

Una partita interessante che impegnerà i governi europei in questi anni.