Storia vera della criminalità, più o meno organizzata, a Milano 

Quando si pretendono decisioni forti, è bene avere informazioni corrette. A sentire le invocazioni da destra, sembra che la città sia totalmente insicura e soprattutto che lo sia diventata da un paio d’anni al massimo, ma i fatti dicono che non è così e la memoria degli anni 60-90 ce lo conferma: andiamo a vedere le cose più da vicino.

Di certo la violenza è parte della storia e dei miti dell’uomo sin dalle origini: non possiamo dimenticare il furto della mela nel paradiso terrestre, l’omicidio di Abele da parte del fratello Caino, il codice di Hammurabi ha ormai quasi 4000 anni. E in tempi più recenti nella Milano austriaca agiva Antonio Boggia il “mostro della stretta Bagnera” condannato per quattro omicidi e un tentato omicidio ai danni di donne raggirate, derubate e assassinate[1].

Oggi la criminalità viene ricondotta agli extracomunitari ma in passato veniva addebitata ai “teroni” e si giustificava la differenza di comportamento con la frase, lapidaria, a Milano non c’è omertà!. Davvero? forse è il caso di riascoltare la canzone “Porta Romana Bella”, la canzone della “ligera”, la mala milanese, è una canzone che risale alla fine dell’ottocento poi aggiornata negli anni cinquanta: “777 fanno 21 arriva la volante e non c’è nessuno[2]”. A Milano anche per la criminalità si crede che “si stava meglio quando si stava peggio”: “Come funzionava la ligera a quei tempi?” …. “Un altro mondo rispetto a oggi, dove ti potevi fidare solo dei fratelli[3]”.

E’ nel dopoguerra che gli spostamenti diventano facili e Milano diventa uno dei centri della criminalità: nel 1958 il mafioso italo-americano Joe Adonis[4] (Giuseppe Doto) espulso dagli Usa, si trasferisce in un appartamento in via Albricci 7. Lo stesso percorso fece Salvatore Gambino altro mafioso espulso dagli USA. Le sentenze hanno documentato almeno due incontri tra i vertici mafiosi avvenuti in via General Govone ai quali partecipò anche Totò Riina.

Sempre per restare in tema mafia non possiamo dimenticare che, nel 1974, in via Ripamonti venne arrestato il latitante Luciano Leggio, capo dei corleonesi. Le intercettazioni avevano permesso di identificare Leggio come a capo di un gruppo di siciliani che aveva effettuato diversi sequestri di persona.

Nel 1965 a Parigi venne arrestato il milanese Luciano Lutring, rapinatore famoso come “solista del mitra” perché nascondeva le armi in una custodia per violino. Aveva fatto il percorso inverso dei latitanti italofrancesi provenienti da Marsiglia e Parigi: Joe le Meer, Nohel Mosca, Francois Martignano, Renè Bress, Petite Daniel e Salvatore Gambino (italo americano rientrato in Europa che aveva operato in Francia)[5].

Tutti gli anni 50-60 sono stati gli anni delle “dure”,  le rapine a mano armata. La più famosa fu la rapina di via Osoppo avvenuta nel 1958 che fruttò 114 milioni[6] e ispirò il film “Audace colpo dei soliti ignoti”.

Con gli anni settanta le due “batterie” di rapinatori più famose erano quelle di Francesco Turatello, il veneto di Lambrate, e il più giovane Renato Vallanzasca, il bel Renè, boss della Comasina. I due gruppi criminali commisero rapine, estorsioni, omicidi e sequestri. Ad un certo punto si resero conto che ai milanesi piaceva il gioco d’azzardo, così organizzarono le bische, anche di lusso: quella di via Panizza (nei pressi di corso Vercelli), quella di corso Sempione (vicina alla sede della Rai), la bisca di viale Elvezia (di fronte all’Arena), in via Savona, in via Cellini … Venivano nascoste sotto i nomi di “circolo del bridge”, circolo degli scacchi, circolo amici della pittura[7]. Altre organizzazioni si spesero per organizzare le bische all’aperto: quelle di piazza Cartagine, sotto il ponte di via Palmanova, in piazza Piemonte dietro al teatro Nazionale, a San Siro, in piazza Napoli, alla stazione Centrale.

Il 1977 fu l’anno nero per i due capi: Turatello venne arrestato a Milano e Vallanzasca a Roma. Turatello venne poi assassinato nel carcere di Nuoro nel 1981 (sui mandanti vi sono molte ipotesi: Epaminonda e Vallanzasca, che hanno negato e Leggio che non ha mai risposto). Invece Vallanzasca, nonostante brevi evasioni e affidamenti in prova, è sostanzialmente in carcere da allora. La guerra feroce che si erano fatti i due gruppi aveva portato a molti morti e a una clamorosa riconciliazione quando, nel 1979, Vallanzasca si è sposato in carcere e il suo testimone di nozze è stato proprio Francis Turatello[8]. Lo stesso Turatello ha sempre lasciato credere di essere il figlio naturale del mafioso Frank Coppola[9], cosa impossibile perché Turatello è nato nel 1944 e Frank Coppola è stato espulso dagli USA nel 1948. La relazione tra la madre ed il mafioso risale invece agli anni cinquanta.

Turatello venne assassinato nel carcere “Badu e’ Carros” di Nuoro da Pasquale Barra, Vincenzo Andraous (fedelissimi di Cutolo) e Antonino Faro (catanese legato a Epaminonda) con la complicità di Salvatore Maltese (anche lui catanese). Come mandante venne condannato all’ergastolo il capo della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo, che aveva ordinato l’omicidio con un telegramma: «Il Sommo ha deciso che lo zio del nord si sposi al più presto con Maranca». Nel linguaggio camorristico il Sommo era Cutolo, lo “zio del nord” Turatello e Maranca il pregiudicato Antonino Cuomo, assassinato un paio di mesi prima a Poggioreale. Simpatici, vero?

Turatello era riuscito a far rivivere il mito del bandito affascinante, era amico di molte persone dello spettacolo (il rapporto più famoso fu quello con Franco Califano, il califfo, che si esibì nelle bische di lusso di Turatello e che sulla copertina del singolo “Tutto il resto è noia” si mostrò con Eros, il figlio di Turatello).  Nel 1979 “I Decibel”, il gruppo di Enrico Ruggeri, realizzò la canzone “A mano armata” dove si dice: “Hai caricato il revolver più bello ed entri nel posto più chic. L’hai visto fare anche da Turatello, Arsenio Lupin, Diabolik.”

Già durante la sua latitanza Turatello dovette difendersi da un suo collaboratore, il catanese Angelo Epaminonda, soprannominato “il tebano[10]”. L’uomo, da rapinatore e spacciatore di cocaina nei locali, aveva iniziato l’ascesa nel gruppo di Turatello con la rapina del 1975 alla bisca di lusso Brera Bridge. Poi erose il consenso di Turatello latitante con una serie di omicidi e, dopo l’arresto del capo, divenne il capo della criminalità milanese fino al 1984, quando venne arrestato. Poco dopo iniziò a collaborare con la giustizia raccontando le vicende criminali e i 56 omicidi nei quali era stato coinvolto. Parlò anche di due stragi: quella del ristorante “la Strega” di via Moncucco nel 1979 con otto morti, per togliere uomini fedeli a Turatello, e quella di via delle Rose, nel 1981, con 4 morti, per vendicare una rapina subita da una bisca di Epaminonda. Per comprendere il clima basti pensare che, il 15 novembre 1979, il settimanale L’Europeo titolò in copertina “MILANO CROCEVIA DEL DELITTO”.

Termina qui la prima parte del testo, la seconda seguirà fra alcuni giorni.


[1] Giovanni Luzzi, “IL GIALLO DELLA STRETTA BAGNERA”, Edizioni Meravigli 1999;

[2] Porta Romana Bella, adattamento di una canzone popolare milanese legata al mondo della Ligera e aggiornata negli anni cinquanta: 777 era il numero di telefono della Volante;

[3] Antonella D’Agostino, FRANCIS FACCIA D’ANGELO – La Milano di Turatello”, Edizioni Milieu 2012, pag. 37;

[4] Il senatore USA Kefauver, capo della commissione contro il crimine organizzato lo definì “l’incarnazione della criminalità moderna”;

[5] Antonella D’Agostino, FRANCIS FACCIA D’ANGELO – La Milano di Turatello”, Edizioni Milieu 2012, pag. 52;

[6] Quasi 2 milioni di euro;

[7] Mario Portanova Giampiero Rossi Franco Stefanoni, MAFIA A MILANO sessant’anni di affari e delitti”, editore Melampo 2011, pagg. 64 e segg.;

[8] Carlo Bonini, Renato Vallanzasca, IL FIORE DEL MALE. BANDITO A MILANO, Tropea edizioni 2009;

[9] Frank Tre dita;

[10] da Epaminonda un politico-generale greco del IV secolo A.C.;