Ci vuole una sinistra PD, qui a Milano

Su cosa debba essere il PD, ci sono visioni diverse. Alcuni pensano ad un partito socialdemocratico, che lotta contro la diseguaglianza, altri ad un partito liberale, che assicuri una competizione basata sul merito, altri, queste due cose insieme … e mi fermo qui. Ci vuole dunque una “sinistra PD” – ma a Milano, da dieci anni ormai, non ha diretto il partito. Perché? E come cambiare?

In effetti, entro il partito, da molto tempo governa il centrodestra interno, dapprima nella versione renziana, poi nella versione “organizzazione senza politica”. C’è stato il riflesso di “ondate” e mode politiche nazionali, c’è stata indubbia bravura tattica di chi ha interpretato le posizioni vincenti – ma certamente ci sono stati anche nostri limiti e insufficienze.
Conta di più il futuro, ma consentitemi prima un’autocritica: personalismi che vengono da storie politiche diverse, presunzioni di superiore “purezza”, riferimenti a leader nazionali diversi che, a loro volta si sono sempre dimostrati incapaci di fare sintesi…. Da parte mia, c’è stata anche un’ingenuità: due volte, con Bersani e con Zingaretti, mi sono illuso che i segretari che ho votato perché “più a sinistra” dessero una identità netta al partito. E, in nome dell’accordo di tutti, mi son trovato Marcucci capogruppo in parlamento.

Ci vuole una sinistra PD, qui a Milano. Ma, perché funzioni, credo che debba avere alcune caratteristiche vincolanti:

  • Integrità e disinteresse personali. Per questo, non intendo soltanto “non parlare col Qatar” (ovvio), ma poi anche: una certa quota di ambizione è legittima ma bisogna impedire a noi stessi che influenzi fastidiosamente le scelte politiche.
  • Concezione della politica come attività collettiva, come fatto di una comunità (un tempo si sarebbe detto: di una comunità di compagni). La comunità discute tutte le scelte, si forma un “orientamento prevalente” e poi (salvo poche eccezioni molto specifiche), ci si sente impegnati tutti a sostenerle. Non siamo “cani sciolti”. Non c’è nulla di nuovo in questo: i partiti della sinistra funzionavano così.
  • Rigorosa democrazia interna: non ci può essere comunità se c’è qualcuno “più uguale degli altri”. Ci sarà chi ha più contatti, più informazioni, magari più rapporti con Roma o un ruolo più di rilievo nel partito o nelle istituzioni – ma, quando si valutano le alternative, le informazioni vengono messe a disposizione di tutti e “uno vale uno” nel decidere.

Beh, stavo per tralasciare una cosa che mi pare evidente: se continueremo a ricordarci puntigliosamente di essere stati / essere più vicini ad Andrea Orlando, Gianni Cuperlo, Cesare Damiano, Roberto Speranza, ecc, ecc combineremo certamente poco: la cronaca del passato prossimo è lì a ricordarcelo.

Adesso siamo in un momento interessante: il congresso di febbraio ha rimescolato le carte, ha indebolito meccanismi storici, ha fatto entrare aria nuova nel partito. E’ il momento di fare ciò che si deve. Spero che chi condivide queste mie idee si faccia sentire. Se saremo in tanti, saremo capaci di far tornare il PD ad essere il partito dei lavoratori e dei cittadini meno favoriti.