Berlusconi esce dalla cronaca e lascia tanta materia di riflessione.

Trenta anni di storia politica ma soprattutto di storia della evoluzione della società italiana, di cui è stato effetto ed anche causa.

Berlusconi è una parte importante della storia italiana, piaccia o no. Anzi, dei protagonisti politici degli ultimi 30 anni sarà – forse insieme a Prodi ma in parte anche questo condominio è merito suo – probabilmente quello di cui parleranno i libri di storia.

Certo, questo succederà per una somma di fattori perfino paradossale. Non c’è dubbio che la sua più importante attività, quella televisiva, sia stata per l’Italia radicale e innovativa, sul piano organizzativo e imprenditoriale, su quello culturale, su quello della organizzazione dei poteri nel campo dell’informazione. Che poi, come sostengono alcuni, ciò sia avvenuto grazie alla molla fondamentale di fare quattrini (meglio: grandi montagne di quattrini) conta fino ad un certo punto, perché contano i risultati.

Qui c’è il primo paradosso. Berlusconi ha fatto del risultato la chiave generale della sua proposta e del suo successo. L’imprenditore che sfonda in campi difficili, il politico che è affidabile perché è un grande imprenditore, il magnate del calcio che conquista scudetti e coppe, lo statista che dà del tu ai grandi del pianeta ed anzi ne officia gli incontri e le pacificazioni: questa la leggenda di sé che ha costruito. Il problema però è come, cioè i mezzi utilizzati, riconducibili sempre al denaro nelle mille forme nelle quali esso si presenta (sembra di sentire l’eco del Mercante di Venezia…): il denaro diventa misura di tutto, dell’impegno e del successo, dell’azione e della prospettiva, della realtà e del sogno.

Che poi il denaro possa avere origini discutibili e sotto la lente di indagini giudiziarie per sospetta mafiosità, che possa essere utilizzato per modificare pensieri e azioni di chiunque (cittadini, altri imprenditori, rappresentanti istituzionali, magistrati…), che possa essere onnipresente sulle scene e sulle cene, poco importa (a lui e ai suoi amici). Conta l’effetto che produce e questo è stato qualcosa di più importante dello stesso consenso elettorale.

Berlusconi è riuscito a rappresentare una speranza e un traguardo per vaste platee di cittadini italiani di ogni età, provenienza e residenza: lo ha fatto utilizzando molto abilmente stereotipi e concetti sedimentati nel profondo della coscienza popolare (vedi alla voce “lotta per la libertà contro i comunisti), travolgendo e riplasmando valori e idee che apparivano ammuffite o svuotate (vedi alla voce “rivoluzione liberale”), indicando il miraggio di una versione italiana del “sogno americano” secondo cui ciascuno ha il proprio destino nelle mani e la società e lo Stato devono rendere possibile il suo raggiungimento ottimale. Salvo tacere, come negli USA, sui milioni che non ce la fanno e restano indietro, che il sogno di uno è l’incubo di molti e che la compassione caritatevole è stata superata da decenni dallo stato sociale e sopratutto – in Italia – dalla promessa anzi dall’impegno dell’art. 3 della Costituzione.

E il paradosso sta proprio qui: il campione del risultato che bilancio può presentare, quali risultati può segnare l’Italia dopo 30 anni di sua impronta?

Non dico nulla, suggerisco solo di guardarsi intorno. E di farlo soprattutto nelle zone della vita e della società nelle quali cercare spirito pubblico e civico.

Non è un problema la ricchezza personale di Berlusconi: l’invidia sociale è un sottoprodotto del sistema di idee e valori del capitalismo predatorio e solo la tristezza dei tempi attuali (e la fragilità della sinistra o di quanto di essa per ora rimane) può farla apparire come un surrogato della lotta politica e perfino della lotta di classe. E’ un problema invece che la società sia stata appunto riplasmata in questi anni e che un modello di relazione – sociale, economica, culturale, politica – abbia potuto dilagare al punto di entrare e incidere nelle aree politiche culturali che da Berlusconi avrebbero dovuto essere le più lontane o le meno inclini a farsene condizionare.

Ad un tempo più lungo andranno affidate analisi e riflessioni più meditate, su ciò che Berlusconi lascia, nella sua grande azienda e nella sua – oggi molto più ridotta – casa politica.

In quest’ultimo argomento sta il secondo paradosso. Berlusconi è stato un innovatore in politica, non perché abbia inventato formule o – malgrado gli sforzi suoi ed anche di chi avrebbe dovuto contrastarlo (vedi alla voce bicamerale) – nuovi orizzonti istituzionali ma perché ha saputo raccogliere eredità politiche del passato esaurite o sfiancate, ha dato loro nuova forma e ha segnato tutta la fase del “bipolarismo aggressivo” come è in Italia, ha ridato forma e forza alla destra limitandosi a evocare una destra liberale (tanto le evocazioni non hanno mai fatto danni) e rilegittimando invece una destra condizionata dal suo passato fascista (quello recente, un “quasi presente”, non solo quello del ventennio). Eppure, di questa costruzione così importante (trenta anni di storia, non briciole) oggi cosa resta? Gruppi di esecutori testamentari – oggi anche in senso stretto – in lite per la titolarità e manciate di voti oggetto della cupidigia degli “alleati”.

Berlusconi era già nella sua fase finale: il tormento degli ultimi mesi lo diceva chiaramente e ciò spiega anche una serie di convulsioni nel centrodestra attuale. Altri divideranno voti, iscritti, influenza. Altri ancora i denari.

Noi che lo abbiamo vissuto come avversario dovremo tornare a ragionare sulla efficacia della lotta politica di questi anni e alle trasformazioni del senso comune di cui è stato artefice, perché questo è il problema più grande, della impronta nel sistema delle idee e delle opinioni sulla società, sulle persone e sul mondo. E, come diceva uno spirito arguto, dobbiamo continuare a preoccuparci non di Berlusconi in sé ma del Berlusconi che è in noi.