Il fisco è la grande questione da sempre. Basta.

Il terzo contributo di Angelo Vitali è sulla fiscalità generale.
Non c’è “un” sistema fiscale italiano: qualcuno ha contato 17 diversi regimi, tra autonomi e dipendenti e tra le diverse fonti di reddito e di produzione o godimento di ricchezza. E intanto la Costituzione parla di equità e progressività: c’è qualcuno che l’ascolta?

Uno dei risultati della lotta del movimento dei lavoratori è quello, insieme ad altri, di essere riuscito a far considerare allo Stato nazionale la problematica sociale inserendo nella fiscalità generale strumenti per poterla risolvere, o almeno attutirla. Cioè un modo di redistribuire una certa quota di entrate verso quel sistema di eguaglianza sociale (che poi diventano diritti alla sanità, all’istruzione eccetera).

Nei secoli passati esisteva già una forma di fiscalità/tassazione generale. Gli imperi, i regni o altre organizzazioni territoriali si facevano dare “l’obolo”, in natura o in denaro, dando come contropartita un servizio principalmente di sicurezza e di diritto (anche se questo era a favore principalmente dei potenti).

Ma è il movimento dei lavoratori che, con le sue lotte, allarga il campo. Viene introdotto il diritto alla salute, il diritto all’istruzione e via via altri diritti che potremmo oggi definire (anche ma non solo) diritti civili. Abbinandolo anche al diritto/dovere del lavoro.

Questo tipo di esigenza si afferma principalmente nel cosiddetto mondo sviluppato ma lentamente (troppo lentamente) si sta estendendo a tutto il pianeta. E da qui, nel mondo che sta affrontando le modalità di un nuovo sviluppo, che stanno nascendo, e nasceranno ancora, i sommovimenti, le rivoluzioni, le contraddizioni che continuano ad esserci. E che portano anche alle guerre.

Ma cosa vuol dire e cosa comporta la fiscalità generale? Partiamo dai numeri. Secondo Eurostat, istituto di statistica europeo, nel 2018 la prima per “pressione fiscale” verso la propria popolazione era la Francia con un rapporto complessivo di entrate pari al 48,4 % del pil, ultima l’Irlanda con il 23 %. L’Italia si collocava in settima posizione con il 41,8 %. La media europea era del 40,2%.

Naturalmente sono dati macroeconomici e quindi al loro interno sussistono diverse differenze. Come, ad esempio, il peso della tassazione sulle aziende, sulle persone fisiche, e sulle varie componenti che “portano” soldi allo stato. E come questi poi vengono redistribuiti.

Qui tocchiamo un punto importante: non solo la quantità di quanto viene chiesto, ma anche la qualità e la modalità delle entrate e delle uscite.

Su questi aspetti c’è molto da fare. In Italia è sensazione comune, ma non solo sensazione, che le “tasse” siano troppe. Ma dai dati prima indicati risulta invece che siamo quasi nella media. Ed allora vuol dire che non esiste coerenza tra quanto versato e quanto ricevuto. E su questo aspetto in tempi relativamente lontani è partita una battaglia culturale, per poi trasformarsi in battaglia politica, per la riduzione complessiva delle tasse. E di conseguenza per lasciare al privato uno spazio di servizi, prima coperti dal servizio pubblico” ove inserirsi. Di fatto, avendo come conseguenza una riduzione dell’offerta del servizio pubblico. Anzi con un finanziamento pubblico per far funzionare servizi diventati privati. E quindi con servizi che a seconda della “velocità di risposta” (vedi la sanità) costano al singolo cittadino o famiglia che sia. Restringendo quel ruolo di stato come riequilibratore in termini di eguaglianza delle possibilità dei cittadini ad avere eguali diritti. E doveri. Con il rischio di lasciare sempre più poveri alcuni. Ed in una economia a “saldo zero” più ricchi altri.

Il movimento dei lavoratori si trova davanti ad un difficile bivio: salvaguardare i diritti conquistati, trovare risorse per aumentare l’eguaglianza, e affrontare la sfida della gestione dell’ambiente di un pianeta sempre più malato. E in Italia, ma non solo, affrontare il problema della corruzione. Che diventa sempre più problema culturale e politico. Sapendo che l’alternativa è un sistema di mercato sregolato in cui il più forte vince.