Quando il silenzio è complicità – per la pace sempre

La comunità internazionale, in particolare molti paesi arabi, ma anche i paesi europei, hanno grandi responsabilità per aver abbandonato il popolo palestinese al suo destino. Ora serve imboccare dunque un percorso di pace e disarmo su scala globale con il riconoscimento dei diritti fondamentali di tutti i cittadini del mondo.

Nota: questo articolo è stato finalizzato nella giornata di venerdì 27 prima degli ultimi tragici sviluppi. L’autore ha comunque ritenuto utile pubblicarlo senza modifiche perché le valutazioni qui espresse sulla questione della Palestina rimangono a suo giudizio non solo non ancora valide dopo gli ultimi eventi, ma anzi ancora più rafforzate.

Questo articolo è stato scritto mentre sono ancora in corso gli eventi – quindi il resoconto dei fatti è ancora parziale, come purtroppo è parziale il numero dei morti, feriti e dispersi. La macchina della violenza e della vendetta è tuttora in azione, a ricordarci che una politica basata sulla legge del taglione, “dell’occhio per occhio”, non può che renderci tutti ciechi, e che serva dunque un diverso modo per convivere su questo pianeta con uguali diritti per tutti i popoli.

A noi che vediamo a distanza le immagini strazianti di intere famiglie sterminate, del dolore dei parenti che seppelliscono i propri morti o che sono in attesa di conoscere quale destino avranno i propri familiari che siano civili o sequestrati sotto le bombe, resta certo l’orrore per tanta violenza, oltre che un senso di smarrimento e di sgomento. Ma anche di un senso di dejà vu e di amara consapevolezza che il crescente sentimento di odio chiamerà altro odio, alimentando così una “guerra perenne”. Si vorrebbe semplicemente tacere e aspettare, sperando che non avvenga quanto già prefiguriamo, o forse anche peggio. Eppure, una riflessione, sia pure a caldo, è doverosa perché il silenzio rischia di essere complice, anche se finora le tante voci che si sono levate nel mondo non sono riuscite a ottenere nemmeno un semplice cessate il fuoco.  

La tragedia continua in Palestina

Si potrebbe pensare che i fatti siano noti, ma nemmeno questo si può dare per scontato perché spesso l’informazione che riceviamo soprattutto in particolare dai media cosiddetti mainstream è spesso distorta sia da un persistente pregiudizio occidentale, che purtroppo continua a impedirci di comprendere il resto del mondo e le reali dinamiche che sottostanno ad alcuni accadimenti, che dalla precisa volontà di alcuni poteri in gioco di usare l’informazione per manipolare le coscienze e mobilitare alla guerra ideologica. Se, come ha detto Papa Francesco, viviamo una situazione di “guerra a pezzi”, allora è evidente che dobbiamo anche attenderci che ci sia la conseguente propaganda – la infowaressendo ormai parte integrante della guerra. 

Proviamo quindi qui a ricapitolare alcuni punti salienti su quanto è successo e sulle ragioni per cui si è arrivati a questo punto, ovviamente senza pretesa di completezza. Per una migliore comprensione del conflitto e della questione palestinese, si rimanda ad alcuni testi fondamentali [1] [2] [3], al rapporto della commissaria ONU Francesca Albanese [4] [5] e alla guida “Palestina” che contiene statistiche, cartine, racconti e fotografie utili a capire i luoghi e le persone che ci vivono [12].

Come sappiamo, il 7 ottobre scorso l’organizzazione politico-paramilitare Hamas ha sferrato in poche ore un violento attacco dalla Striscia di Gaza ai territori dello stato di Israele. Questo attacco,  avvenuto impiegando anche droni, parapendii, buldozzer e razzi che hanno superato le linee di difesa e messo fuori uso i sofisticati controlli elettronici israeliani ha colto completamente di sorpresa l’intelligence e l’esercito israeliano, le Forze di Difesa Israeliane (IDF). Nell’attacco, molti civili sono stati uccisi brutalmente mentre altri sono stati presi ostaggi da Hamas e portati nella Striscia di Gaza: il tragico bilancio è di 1.400 morti, 4.600 feriti e di circa 220 persone sequestrate (di 23 diverse nazionalità) [6] [7]. Si è trattato dell’attacco terroristico più grave mai subito da Israele, pari a ben l’82% di tutti i caduti israeliani dal 2008 in poi ad opera dei palestinesi [8]. 

Il governo israeliano ha inizialmente dichiarato che l’attacco fosse “un atto di guerra”, ma in seguito questo termine è stato usato sempre meno perché avrebbe forse implicato un riconoscimento de factodi Hamas. Eppure, i numeri del conflitto israeliano-palestinese sono quelli di una vera e propria guerra: negli ultimi 15 anni (incluso il 2023 – alla data) esso ha causato complessivamente  14.655 vittime – di cui 12.949 palestinesi e  1.706 israeliani [8]. Prima dell’attacco del 7 ottobre 2023, il 2014 era stato l’anno più sanguinoso, con 2.329 palestinesi e 88 israeliani morti (per lo più soldati) [8]. Quanto è successo, rappresenta quindi un clamoroso fallimento della politica del governo di destra e di Benjamin Netanyahu in prima persona, che ha rifiutato il piano di “due popoli e due stati” [9] [10] ritenendo di poter realizzare la politica di una grande Israele, anche grazie alla normalizzazione dei rapporti con i paesi arabi, senza che bisognasse concedere uno stato al popolo palestinese.  

La risposta da parte di Israele all’attacco di Hamas è stata (ed continua ad essere) devastante. Ad oggi non è ancora iniziato il minacciato ingresso via terra dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, ma dal primo giorno i bombardamenti israeliani si sono abbattuti su questa che è una delle aree più densamente popolate del pianeta, causando 7.326 morti (tra cui 3.038 bambini) e 18.967 feriti nella popolazione palestinese (dati aggiornati al 25 ottobre). A ciò si aggiunge la distruzione di interi quartieri di Gaza City e di altri nuclei abitati in tutta la Striscia di Gaza [11]. Soltanto nei primi 6 giorni, siamo state sganciate 6.000 bombe, per un peso totale di 4.000 tonnellate di esplosivo [17].

La striscia di Gaza è stata descritta come la “più grande prigione a cielo aperto del mondo” [1]. Nei 365 km quadrati vivevano infatti circa 2.1 milioni di palestinesi (di cui 1.7 milioni rifugiati palestinesi), con una età mediana di 18 anni, già in condizioni drammatiche. Infatti, il 90% del cibo consumato era importato, l’elettricità (essenziale per il funzionamento dei generatori degli ospedali e degli impianti di desalinizzazione) era limitata a 13 ore al giorno, la disponibilità di acqua pro capite, rispetto al fabbisogno raccomandato dall’OMS di 100 litri al giorno, erano di solo 10 litri d’acqua oltre ad 80 litri di acqua contaminata (da confrontare con i 70 litri per i palestinesi in Cisgiordania e i 370 litri per i coloni israeliani nello stesso territorio) [12]. Come conseguenza, a Gaza l’inquinamento idrico rappresentava la causa di oltre ¼ delle malattie e di oltre il 12% delle morti infantili [13].

Ora a causa dei bombardamenti e del blocco completo dei rifornimenti di acqua, cibo e carburante attuato da Israele, nonché del divieto di passaggio dei rifornimenti dal valico di Rafah al confine egiziano (rimasto aperto in questi giorni solo per poche ore, nonostante l’impegno diretto dello stesso presidente USA perché questo minimo canale di approvvigionamento fosse tenuto aperto in modo costante), si è ormai al collasso dei servizi igienico-sanitari, come denunciato da tutte organizzazione umanitarie e dalle agenzie dell’ONU presenti in loco [14] [15]. Ormai la popolazione è costretta a bere acqua salata, si operano i feriti senza anestetico, mancano le medicine e gli antibiotici e si ricorre all’aceto in assenza di disinfettanti. Sono a rischio ben 50.000 donne incinte, di cui circa 5.500 che dovrebbero partorire nei prossimi 30 giorni [16], mentre i neonati già rischiano di morire per l’impossibilità di mantenere in funzione le incubatrici. La situazione peggiora di ora in ora, e secondo l’OMS, “la catastrofe è imminente”.  

Inizialmente il governo israeliano aveva sostenuto che i bombardamenti fossero “mirati”. Ma questa narrativa si è presto dissolta di fronte alle immagini che documentavano le estese devastazioni dei bombardamenti a tappeto. Si è cercato di giustificare le numerosissime vittime civili come inevitabili effetti collaterali (collaterali damage) o di minimizzare i numeri riportati dai palestinesi (che hanno però provveduto a compilare un elenco completo di nomi e cognomi). Del resto, se davvero l’esercito israeliano avesse avuto le informazioni su dove colpire per neutralizzare Hamas, forse l’attacco non avrebbe potuto nemmeno realizzarsi. Peraltro, è noto che i vertici di Hamas non si trovano in paesi arabi del Golfo. E sebbene il governo israeliano continui ad affermare di voler anche salvaguardare la vita degli ostaggi (che si suppone siano nascosti nei cunicoli scavati sotto la città di Gaza), è evidente non si può impedire che anch’essi siano vittime dei pesantissimi bombardamenti quotidiani. 

Lo stato di confusione del governo Netanyahu su come realizzare l’obiettivo primario dichiarato di liquidare le cellule di Hamas è testimoniato dall’ordine di evacuazione in sole 24 ore di oltre un milione di persone – anziani, uomini e donne di ogni età, donne incinte e bambini – dalla parte nord della striscia di Gaza (dove c’è Gaza City) verso la parte sud, secondo quelli che avrebbero dovuto essere percorsi “sicuri” e in aree che non avrebbero dovuto essere bombardate. Anche 23 ospedali nel nord della Striscia di Gaza, che fornivano cure salvavita a oltre 2.000 pazienti, diventati di fatto l’unico rifugio sicuro per decine di migliaia di famiglie, hanno ricevuto ripetuti e pressanti ordini di evacuazione forzata sotto minaccia di essere altrimenti bombardati. Purtroppo, nei giorni successivi anche gli ospedali, le chiese e le stesse vie di fuga verso il sud sono state bombardate. 

In assenza di uno Stato palestinese a cui dichiarare la guerra e nell’impossibilità di individuare come colpire selettivamente Hamas, il governo di Netanyahu ha dichiarato di fatto una guerra a tutto il popolo palestinese, sulla base della teoria per cui la colpa dei palestinesi sarebbe collettiva. Le autorità israeliane continuano non solo ad affermare il loro diritto di “difendere Israele”, ma anche a negare in tutte le sedi istituzionali e pubbliche che esista una emergenza umanitaria in atto, e ad opporsi al cessate il fuoco o a qualsiasi allentamento del blocco rifornimenti, se non in cambio della restituzione incondizionata di tutti gli ostaggi. Nel crescente clima di odio verso tutti i palestinesi, diversi rappresentanti israeliani hanno propugnato la distruzione completa della Striscia di Gaza e l’espulsione di tutta la popolazione palestinese nella penisola del Sinai (che è territorio egiziano).

A questo proposito conviene ricordare che sono passati 75 anni dall’espulsione di massa e dallo spostamento di oltre 700.000 palestinesi dalle loro case, villaggi e città durante il conflitto che portò alla creazione dello stato di Israele nel 1948 – un evento chiamato in arabo “Nakba” (letteralmente “catastrofe”) che è rimasto impresso nella coscienza collettiva palestinese come l’inizio di una storia di spossessamento senza fine [18]. Oggi, dei 14.3 milioni di palestinesi nel mondo, ben 5.9 sono classificati come rifugiati che non non hanno diritto al ritorno in Palestina. Oltre ai 2.2 milioni nella Striscia di Gaza ci sono 3.3 milioni palestinesi che vivono in Cisgiordania (5655 km quadrati) in un territorio sempre più frammentato da barriere (700), posti di blocco (140) e dalle crescenti insediamenti dei coloni israeliani [12]. Almeno altri 150.000 palestinesi corrono il rischio reale di perdere la casa a causa della brutale pratica israeliana di demolizioni di case o sgomberi forzati. Infine, ci sono 1.9 milioni di arabi israeliani (il 21% della popolazione israeliana) che vivono in condizioni di emarginazione (significativamente essi non sono soggetti alla coscrizione militare). 

Occorre anche ricordare che nelle prigioni israeliane ci sono ben 4.900 prigionieri politici palestinesi (tra cui 31 donne e 160 minori) e più di 1.000 detenuti in regime di “detenzione amministrativa”, ovvero persone che non hanno mai subito un processo e a cui non è stata neanche notificata alcuna accusa o capo d’imputazione, e che per la legge israeliana possono essere trattenuti per mesi (con rinnovi potenzialmente infiniti) [20]. Riguardo alla condizione dei minori, occorre ricordare che Israele è l’unico Paese al mondo che detiene e persegue i minori nei tribunali militari [21]. Alcune ONG che si occupano dei diritti civili hanno documentato gravissime violazioni, inclusa punizioni corporali, privazione di cibo e acqua, oltre la mancanza di accesso all’assistenza legale. Dopo i fatti delle settimane scorse, il numero dei detenuti sarebbe aumentato a 10.000 tra adulti e minori.

A causa di questa situazione, nei documenti ufficiali ONU è ormai riconosciuto l’uso del termine “apartheid” per descrivere la condizione dei palestinesi, sia che vivano in Israele, nei Territori palestinesi occupati o in altri stati come rifugiati [19] [14] [4] [5]. 

Il rischio di un allargamento della crisi

A seguito degli eventi di questi giorni, tutta l’area mediorientale è diventata un focolaio di tensioni e di potenziali nuovi fronti di guerra. Le IDF hanno bombardato sia il sud del Libano e la Siria (inclusi gli aeroporti di Damasco e di Aleppo), in risposta al lancio di razzi da quelle zone e per dissuadere possibili attacchi da parte delle milizie Helzobollah supportate dall’Iran. La gravità della situazione ha spinto gli USA a spostare due portaerei e diverse unità navali nella zona, e – fatto quasi senza precedenti – a far volare il presidente USA in Israele. Pur ribadendo la solidarietà a Israele, il suo “diritto di difendersi” e di attuare una risposta militare, e pur facendo richiesta al Congresso USA di ulteriori forniture di armamenti ad Israele (oltre che all’Ucraina e a Taiwan – chiaramente i 3 punti critici dello scenario globale americano), di fatto Joe Biden ha cercato di mitigare la risposta israeliana (come poi hanno cercato di fare nei giorni seguenti altri leader europei in visita in Israele). 

Significativamente, Biden ha riconosciuto (si tratta della prima ammissione pubblica) che gli USA hanno compiuto “errori” nella gestione del 9/11 (che bisogna ricordarlo sono anche costati centinaia di migliaia di morti innocenti) ed ha esortato esplicitamente Israele a non commettere gli stessi errori [21]. Purtroppo, ad oggi ogni richiamo alla moderazione nella risposta e alla necessità di tenere distinto il popolo palestinese da Hamas non sembra essere stato efficace. Invece, Netanyahu, il presidente israeliano e i rappresentanti israeliani all’ONU hanno cercato di sostenere un fantomatico legame di Hamas con l’ISIS, una lettura negata dagli stessi giornali democratici israeliani (Haarez) e comunque non sostenibile anche alla luce del supporto offerto nel passato proprio dal governo Netanyahu ad Hamas come alternativa alla Autorità Nazionale palestinese (ANP) [22] [23]. 

Nel clima crescente di radicalizzazione del discorso e la demonizzazione dell’avversario, anche la dichiarazione da parte del segretario generale dell’ONU António Guterres [24] e il suo appello a salvaguardare i civili e a garantire aiuti umanitari, è stato motivo di scontro. Guterres ha condannato inequivocabilmente le azioni terroristiche di Hamas (“Nulla può giustificare l’uccisione, il ferimento e il rapimento deliberato di civili – o il lancio di razzi contro obiettivi civili”), riconoscendo però che esse non sono avvenute “nel vuoto”, ma nel contesto di “56 anni di soffocante occupazione” ribadendo peraltro che “(…) le rimostranze del popolo palestinese non possono giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas. E questi terribili attacchi non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese”.  Guterres ha anche ricordato la morte di 35 persone dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestina Refugees in the Near East), l’agenzia ONU che fornisce assistenza, protezione e difesa dei diritti a circa 5 milioni di rifugiati palestinesi in Medio Oriente. Per i rappresentanti israeliani il discorso del segretario generale dell’ONU ha invece significato una giustificazione di Hamas. Addirittura, Israele ha chiesto le dimissioni di Guterres, ha dichiarato che non concederà più i visti al personale ONU e di “dover impartire una lezione all’ONU”.  

Netanyahu, forse anche consapevole della propria responsabilità su quanto avvenuto e delle conseguenze politiche per il proprio governo (già oggetto di forti contestazioni in Israele per il tentativo di restringere le libertà democratiche) e forse del suo stesso destino politico, ha deciso di giocare la carta della radicalizzazione dello scontro e dell’appello religioso, dichiarando “La nostra guerra contro Hamas è una prova per tutta l’umanità. È una guerra contro l’asse del male Iran-Hezbollah-Hamas condotta dalle forze della libertà e del progresso. Noi siamo il popolo della luce, loro rappresentano il buio delle tenebre. La luce vincerà l’oscurità”, richiamandosi alla profezia biblica di Isaia [21]. Una visione manichea e dai richiami apocalittici che, data la disponibilità dell’arma nucleare, fa legittimamente temere per il peggio. L’imbarazzo per queste dichiarazioni avrebbe spinto i media israeliani a non riportare tali riferimenti nei loro quotidiani e telegiornali [21].

Purtroppo, nel clima di odio reciproco accresciuto dai terribili eventi di questi giorni, ci sono stati anche 109 morti e oltre 1.900 feriti palestinesi anche in Cisgiordania oltre a diversi episodi di vessazione degli stessi cittadini israeliani di origine araba, in entrambi senza che ci fosse alcun legame con Hamas. E non sono mancati gravi episodi di antisemitismo e di islamofobia, inclusa l’uccisione con 26 pugnalate di un bambino di soli 6 anni di una famiglia palestinese in una cittadina dell’Illinois (nota come “Little Palestine”) da parte del loro padrone di casa (di 71 anni). 

Nel città del mondo ci sono anche state (e continuano ad esserci) numerose manifestazioni in favore della pace, di un cessate il fuoco e di solidarietà alla causa palestinese, anche da parte di ebrei in particolare negli USA. Sebbene in alcuni paesi (in particolare in Francia) siano state proibite le manifestazioni di piazza e siano repressi (anche con arresti vedi anche in Germania e Gran Bretagna) anche semplici gesti di supporto alla causa palestinese (come l’esposizione della bandiera palestinese), questo non ha impedito che le manifestazioni avvenissero e crescessero. Bisogna piuttosto domandarsi quanto queste misure che a detta delle autorità avrebbero voluto evitare possibili tensioni, non abbiamo finito invece per acuirle. 

Ed è anche confortante vedere il coraggio di diversi intellettuali ebrei e israeliani (tra cui Gideon Levy, Amira Haas, Norman Finkelstein, Ilan Pappe e Gap Lerner) che si sono coraggiosamente si sono dissociati dalla politica del governo israeliano e dalle azioni della IDF. Come sono importanti per altri versi le dichiarazioni sia pure di ferma rivendicazioni dei diritti dei palestinesi e di critica dei doppi standard dell’occidente (“non ho mai sentito un leader occidentale che abbia detto che anche i palestinesi hanno diritto a difendersi”), come quelle del re e della regina di Giordania Abdullah e Rania [25], che danno una rappresentanza politica non estremista al popolo palestinese (anche per evitare la destabilizzazione del loro stesso stato in cui ci sono 2 milioni di rifugiati palestinesi). Invece è ambigua la posizione del presidente turco Erdoğan che pensa di intestarsi la lotta dei palestinesi disconoscendo le azioni di Hamas come terroristiche (“i miliziani di Hamas sono dei libratori” [26]) per proprie mire personali e di egemonia nell’area, mentre lui stesso disconosce il diritto del popolo curdo, che ha bombardato e continua a vessare dentro la Turchia e fuori in Siria.

Il ruolo dell’ONU è fondamentale per ripristinare la pace in un contesto di diritto universale per tutti i popoli. Ed è quindi importante che Ravina Scampanassi, portavoce dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (con sede a Ginevra), abbia oggi (venerdì 27 ottobre) denunciato in una nota i crimini di guerra commessi da entrambe le parti, dichiarando: “Siamo preoccupati per la punizione collettiva inflitta ai palestinesi di Gaza in risposta agli attacchi atroci di Hamas, che costituiscono anch’essi dei crimini di guerra”, che “Costringere le persone ad evacuare in queste circostanze (…) e mentre si è sotto assedio totale, solleva serie preoccupazioni sullo sfollamento forzato, che è un crimine di guerra”, e che “Gli attacchi indiscriminati dei gruppi armati palestinesi, anche attraverso il lancio di razzi non guidati verso Israele, devono cessare. Devono rilasciare immediatamente e senza condizioni tutti i civili che sono stati catturati e che sono ancora detenuti”. Shamdasani ha anche affermato che “Nessun luogo è sicuro a Gaza“, ed ha chiesto che “l’uso di un linguaggio disumanizzante nei confronti dei palestinesi deve cessare” [27] [28] [29]. 

Che fare?

La comunità internazionale, in particolare molti paesi arabi, ma anche i paesi europei, hanno grandi responsabilità per aver abbandonato il popolo palestinese al suo destino, per non aver continuato a insistere perché il piano di “due popoli, due stati” diventasse realtà, e per anzi aver lasciato mano libera ai governi di Netanyahu di ignorare le risoluzioni e i rapporti dell’ONU, senza mai sollevare alcuna protesta. 

Da parte europea, non c’è solo l’eredità di un passato di antisemitismo (e la colpa della Shoah per la Germania, che anche l’Italia dovrebbe ugualmente sentire) o la paura di vedere il conflitto e il terrorismo anche sul suolo europeo (come è stato in una lontana stagione). C’è invece soprattutto l’incapacità di mettere in discussione ogni “eccezionalismo”, inclusi quelli degli USA e di Israele, e di sviluppare una visione dei rapporti internazionali adeguata al nuovo mondo multipolare. Questo condanna di fatto l’Europa all’afasia e alla irrilevanza sullo scenario mondiale (si pensi alla inutile visita di Macron in Israele), e la rende comunque ugualmente invisa e non distinguibile nella sua ipocrisia da quella del suo maggiore alleato (che però dispone di altre leve di potere).

Per capire da dove dobbiamo ripartire, forse è utile tornare alla questione della bandiera palestinese che in questi giorni ha fatto la sia comparsa come mai prima nelle piazze, negli stadi e sulle case (vedi quella esposta su un palazzo delle Vele a Scampia [30]). Oltre alla solidarietà per il popolo palestinese, c’è probabilmente un altro meccanismo in azione. 

Di fronte alla ennesima dimostrazione di doppiopesismo (double standard) del mondo occidentale e alla vuota retorica delle sue élite, la causa palestinese, e dunque la sua bandiera, stanno assurgendo sempre di più a rappresentare tutte le cause ignorate dei diseredati del mondo, dei colonizzati, degli sconfitti della storia, dei disperati senza voce, delle “bestie”, dei “rats”, della “racaille”, della “feccia” del mondo, anche di quelle del nostro mondo. Sarebbe quindi estremamente pericoloso, non solo per la pace in medio-oriente (e potenzialmente nel mondo), ma per il destino della stessa democrazia nei singoli stati e a livello internazionale se non si troverà una soluzione pacifica a questa guerra (come alle altre), e che si dimostri che si può avere giustizia anche senza ricorrere alla violenza per ottenere attenzione.

Per farlo occorre innanzitutto riconoscere che siamo di fronte agli esiti nefasti di una visione del mondo che basa il diritto sulla forza, del potere economico e militare, delle armi più o meno tecnologiche, sullo sfruttamento senza limiti dell’uomo e della natura, sulle diseguaglianze economiche, sociali e ambientali. Una visione che è causa inevitabilmente di crescente odio, guerre e orrore – in particolare quando si nega il diritto a un popolo di avere uno stato, a non essere segregato, a non subire qualsiasi abuso e a vedersi negati anche i mezzi di sussistenza. 

Serve imboccare dunque un percorso di pace e disarmo su scala globale con il riconoscimento dei diritti fondamentali di tutti i cittadini del mondo [31]. E bisogna anche rigettare ogni visione manichea, fondamentalista e teocratica, di ogni narrativa tossica di una guerra (addirittura finale) tra la luce e le tenebre, tra un popolo eletto e un popolo reietto, tra l’umanità e la bestialità, tra le democrazie e le autocrazie, tra l’Occidente e il resto del mondo.

Riferimenti

[1] Ilan Pappe, “La prigione più grande del mondo. Storia dei territori occupati”, Fazi (2022)

[2] Edward W. Said, “La questione palestinese”, Il Saggiatore (2011)

[3] Noam Chomsky, Ilan Pappe, “Ultima fermata Gaza. Dove ci porta la guerra di Israele contro i palestinesi”, Ponte alle Grazie (2010)

[4] Francesca Albanese, “Privazione arbitraria della libertà nel territorio palestinese occupato: l’esperienza palestinese dietro e oltre le sbarre” (2023) – https://www.assopacepalestina.org/2023/09/10/nuovo-rapporto-onu-di-francesca-albanese-sulla-privazione-della-liberta-personale-nel-territorio-palestinese-occupato/

[5] AA. VV., “Diritti umani in Palestina”, Altreconomia (2023) https://altreconomia.it/prodotto/dossier-palestina/

[6] https://www.vanityfair.it/article/guerra-hamas-israele-due-ostaggi-liberati-chi-sono-gli-altri

[7] https://www.valigiablu.it/ostaggi-hamas-jihad-islamica/

[8] https://www.truenumbers.it/conflitto-israele-palestina

[9] https://www.timesofisrael.com/jimmy-carter-two-state-solution-is-dead-israel-to-blame/  

[10] https://www.youtube.com/watch?v=doHz5386_2U

[11] https://ig.ft.com/gaza-damage/

[12] AA.VV., “The Passenger – Palestina”, Iperborea (2023)

[13] https://www.lifegate.it/water-defender-gaza-mosab-al-hindi

[14] https://www.amnesty.it/apartheid-israeliano-contro-i-palestinesi/

[15] https://actionaid.org/news/2023/actionaid-horrified-unprecedented-order-expel-11-million-palestinians-northern-gaza

[16] https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2023/10/12/esercito-israele-da-sabato-lanciate-6mila-bombe-su-gaza_367703af-03ce-4e10-bcc9-a129abab6338.html

[17] https://unric.org/it/crisi-a-gaza-unrwa-onu-italia/

[18] https://ilmanifesto.it/4900-i-prigionieri-politici-palestinesi

[19] https://www.amnesty.it/domande-e-risposte-apartheid-israeliano-contro-i-palestinesi/

[20] https://www.lasvolta.it/9842/il-dramma-dei-bambini-palestinesi-nelle-carceri-israeliane

[21] https://ilmanifesto.it/colloquio-biden-netanyahu-non-fate-i-nostri-errori

[22] https://www.farodiroma.it/il-fondamentalismo-alimenta-il-conflitto-israelo-palestinese-f-b/

[23] https://ilmanifesto.it/ma-hamas-non-e-lisis

[24] https://unric.org/it/segretario-generale-osservazioni-consiglio-di-sicurezza-medio-oriente/

[25] https://www.youtube.com/watch?v=Ent_pLyX6BE

[26] https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2023/10/25/erdogan-miliziani-hamas-sono-liberatori-non-terroristi_2b44effe-5d59-4f2c-8d0c-b7de5e1eef17.html

[27] https://www.agenzianova.com/news/lonu-accusa-hamas-e-israele-di-crimini-di-guerra-stop-al-lancio-di-razzi-e-alla-punizione-collettiva-a-gaza/

[28] https://www.editorialedomani.it/politica/mondo/guerra-israele-hamas-incursioni-gaza-diretta-cosa-sta-succedendo-sddez9sw

[29] https://www.rsi.ch/info/mondo/“Crimini-di-guerra-su-entrambi-i-fronti”–1972903.html

[30]  https://www.ansa.it/campania/notizie/2023/10/18/maxi-bandiera-della-palestina-su-una-vela-di-scampia_db8c54f7-a0a8-4fcd-a51f-e1c86f113943.html

[31] Luigi Ferrajoli, “Perché una Costituzione della Terra?”, Giappichelli (2021)