Abitare a Milano tra rendita immobiliare ed espulsione del ceto medio

Il difficile passaggio dell’amministrazione comunale a seguito delle inchieste della magistratura per presunti abusi edilizi può essere una spinta a intervenire sugli strumenti regolatori come il PGT per ripensare un modello di città in cui, accanto alla rigenerazione urbana ci sia la progettazione di un tessuto di servizi per la cittadinanza, con al centro la sostenibilità ambientale e la questione del caro case.

Sul tema dell’abitare a prezzi equi, Milano non può essere lasciata sola dal Governo e da Regione Lombardia.

Sulla stampa in queste settime leggiamo che le 30 inchieste della magistratura su presunti abusi edilizi, legati a concessioni date a fondi immobiliari sulla base di semplici segnalazioni per ristrutturazione, stanno creando una crisi del modello urbanistico milanese e del “patto” quasi decennale tra amministratori e operatori del settore. Si è bloccato di fatto lo sviluppo immobiliare della città, facendo piovere su costruttori, tecnici e dirigenti dell’amministrazione accuse di speculazione edilizia e di sudditanza del pubblico rispetto al privato. 

Oltre alle contestazioni sul titolo edilizio rilasciato, che non prevedeva permessi a costruire per interventi immobiliari di grande impatto sul territorio come edifici (torri) residenziali di 25 piani al posto di capannoni, a scapito dei servizi per i cittadini, si è aggiunta l’accusa da parte della Corte dei Conti di danno erariale nei confronti del Comune, per mancati introiti legati agli oneri di urbanizzazione.  

Ad oggi sono bloccate 200 pratiche edilizie, 150 fascicoli in fase istruttoria sono oggetto di revisione: per queste ultime la Giunta comunale ha deliberato nuove linee di indirizzo che tengano conto delle osservazioni della magistratura, in particolare rispetto a edifici di 25 metri di altezza, alla quantificazione delle demolizioni e nuove costruzioni, alla monetizzazione degli standard e all’utilizzo di permessi a costruire. 

Il Comune si è mosso da anni sullo stretto crinale del rapporto con gli operatori immobiliari, cercando un equilibrio che prevedesse la rigenerazione urbana di edifici industriali e artigianali dismessi, soprattutto in periferia, per evitare il degrado dell’abbandono, tentando di arginare il consumo di suolo e di incentivare l’efficientamento energetico.  

Per attirare capitali nell’immobiliare, gli oneri di urbanizzazione sono stati per anni tra i più bassi in Europa ed erano fermi da molto (troppo) tempo.  Sono stati aggiornati recentemente con diverse percentuali per il centro e la periferia, per incentivare gli interventi nelle zone urbane decentrate. 

Luci e ombre: i fondi immobiliari hanno cominciato a costruire moltissimo residenziale (la famigerata gentrificazione) in zone periferiche come, per esempio, Lambrate, Ortica, Rubattino e non solo, espellendo dalle aree di nuova edificazione, chi non poteva permettersi i costi elevati. 

I grattacieli con vista parco stanno sorgendo come funghi ma i servizi per la cittadinanza (scuole, verde, mobilità, commercio di prossimità) ancora latitano. 

La partita degli oneri finalmente aumentati e la richiesta, contenuta nella revisione in atto del Piano di Governo del Territorio, di ridurre le soglie fondiarie per la realizzazione di edilizia residenziale sociale e di edilizia convenzionata hanno creato molti malumori tra i fondi immobiliari che investono in città, malumori accresciuti dall’inflazione e dai prezzi aumentati delle materie prime. 

Per la prima volta, dopo anni, i bandi del programma internazionale Reinventing cities che prevede una collaborazione pubblico/privato per la rigenerazione in chiave di sostenibilità di spazi pubblici abbandonati, sono andati deserti perché nessun fondo immobiliare ha risposto.

In questo scenario controverso un elemento positivo è dato dagli Studi d’area come quello di San Siro e Adriano, Crescenzago Rubattino che finalmente fotografano la realtà dei quartieri coinvolti nelle trasformazioni urbanistiche e censiscono le esigenze della cittadinanza in termini di servizi, spazio pubblico, infrastrutture verdi, reti di mobilità, creando una mappatura che deve diventare prescrittiva non solo per il pubblico ma anche per gli operatori privati.

Milano deve fare i conti con le sue contraddizioni: nel dopo Expo è diventata la città più attrattiva d’Italia, il turismo è in grande crescita, la ricchezza del Paese è concentrata qui con i grandi patrimoni, qui c’è la metà degli investimenti immobiliari nazionali, incentivando una economia della rendita senza limiti. Dall’altra parte, però, si sono ampliate le disuguaglianze tra ricchi e poveri, gli stipendi sono al palo, il ceto medio è espulso dalla città perché non si può permettere i costi esorbitanti delle case, l’inquinamento, la questione ambientale e la fragilità del territorio creano ulteriori contrasti tra aree del territorio urbano, tra centro e periferie.

In questo scenario la questione dell’abitare a prezzi equi, centrale nella variante del PGT, non può essere risolta esclusivamente con gli strumenti legislativi in capo alla sola amministrazione locale come l’incentivo al canone concordato sperimentato a Milano in modo positivo. Mancano da troppo tempo interventi regionali e nazionali di rilancio dell’edilizia pubblica con un grande piano case, mancano corposi interventi di sostegno alla morosità incolpevole, devono essere recuperati e riconvertiti per studenti e lavoratori gli immobili abbandonati sul territorio, manca una legge che permetta ai Comuni di mettere un freno al proliferare degli affitti brevi turistici che drogano il mercato immobiliare cittadino.