Rispettare i valori dello spirito europeo, col dovuto rigore

Molti si dichiarano difensori della nostra identità e delle nostre tradizioni, lo gridano salendo su tutti i palchi e invadendo tutti i media e tutti i social, chiedendo che si espongano ovunque i simboli della nostra religione. Non è cosa da trascurare come irrilevante, né basta indulgere al fastidio istintivo che queste grida scomposte ci provocano.

Europa, europei hanno molti significati, da quello geografico a quello politico a quello della cultura e dei valori, che è quello vero e fondamentale. Ma come descriverli? I valori sono arbitrari, indimostrabili, frutto di evoluzioni che si sono consolidate lungo la storia, nei secoli.

La questione, complessa e molto al di là delle competenze individuali, va semplificata per gli scopi pratici e ridotta forse a due affermazioni: “europeo” è chi crede che ogni persona abbia un valore assoluto che ne fa il soggetto di diritti individuali non riducibile a strumento per fini superiori – e crede che il mondo sia conoscibile, entro certi limiti, con l’esame razionale, cioè che esista e si possa conoscere ciò che è vero e ciò che è falso.

Per formare il proprio giudizio, perciò, occorrono onestà intellettuale (cercare il vero e sforzarsi di riconoscerlo) e senso della giustizia (riconoscere gli elementi di verità nelle convinzioni degli altri ed i loro legittimi interessi, “calarsi nei loro panni”).

Le grandi questioni di politica, e di politica internazionale in particolare, hanno aspetti multiformi, chiamano in causa discipline diverse, evolvono nel tempo. Nessuna può essere decisa assegnando tutte le ragioni ad una parte, tutti i torti all’altra, in un caricaturale giudizio di “buoni” e “cattivi”. Eppure è proprio quello che molti stanno facendo, sia in Ucraina che in Palestina. Invece di farci pensare, come sarebbe giusto, “sì. ma …”, le guerre ci polarizzano, ci spingono sulla ben lastricata “via dell’inferno” espressa dalla frase dannata: “senza se e senza ma”. Per essere capaci di non farlo, dobbiamo anche superare il timore di apparire mossi dalla ricerca di una comoda posizione mediana (“cerchiobottismo”, direbbero i giornalisti). No, deve muoverci la sincera ricerca della verità.

Impressiona come cadano nella trappola della polarizzazione non solo folle irriflessive, facile preda della propaganda ma anche persone intelligenti, colte, use ad approfondire i problemi, anche amici che ci sono stati vicini.

Dobbiamo respingere la tentazione. Per rendere giustizia a chi ne ha diritto? Per schierarci cavallerescamente dalla parte del debole? Anche – ma non è l’unica ragione, né la principale. È soprattutto per restare fedeli a noi stessi, per non essere noi i primi a tradire lo spirito europeo. Se così non fosse, quale diversità potremmo vantare dai fanatici di una qualunque “religione”? E dobbiamo, forse con dolore, separare rigorosamente da noi chi si lascia contaminare. Chi si è rivelato non equanime, non mosso soltanto dalla ricerca della giustizia e della verità, ma da partigianeria tifosa, non merita il nome di socialista né la comprensione che si deve ad un compagno. Lungi da me!

Ma si deve avere lo sguardo lungo, pensare al futuro. Il “nemico” è forse lo Stato aggressore, forse anche il sentimento prevalente oggi nella società dell’aggressore. Non può essere la cultura dell’altro, la sua storia, le sue tradizioni. Per venire a casi pratici, chi ha inteso rompere i legami con la cultura o con lo sport russo, magari per basse ragioni di popolarità momentanea, merita il biasimo pubblico più severo. Lo stesso biasimo da riservare a chi oggi vuole tagliare le relazioni fra i nostri atenei e le università di Israele. Questi “schierarsi” possono servire a perpetuare la guerra, calda oggi, fredda domani, non a costruire la pace. E, prima di tutto, sono tradimento dello spirito europeo, che è poi la nostra identità vera, l’unica cosa che dà un senso al vago concetto di “Occidente”.